Recovery Plan, leader a confronto nel Consiglio europeo 

Tutti i Paesi europei devono essere “pronti” a fare uno “sforzo di solidarietà” per aiutare chi è stato duramente colpito dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19, ma quelli che “chiedono solidarietà” devono anche essere “pronti” al fatto che ci siano delle “regole” sul funzionamento di questa solidarietà e anche dei “controlli”. Questa sarà “la formula magica che dovremo elaborare, alla fine”. La sintesi è del primo ministro del Lussemburgo Xavier Bettel che, intervistato da France 24, ha delineato così i termini del problema che i 27 capi di Stato e di governo si troveranno ad affrontare a partire da oggi, nel Consiglio Europeo, che si terrà ancora in videoconferenza a causa delle difficoltà logistiche che tuttora si incontrano nel raggiungere Bruxelles. 

Il vertice è la prima occasione per un confronto sulla proposta avanzata dalla Commissione Europea sul Recovery Plan, o Next Generation Eu, che prevede 500 mld di trasferimenti e 250 mld di prestiti, in collegamento con un Mff 2021-27, il Quadro finanziario pluriennale dell’Ue, da 1.100 mld. Il negoziato è su entrambi, un “pacchetto” da 1.850 mld. La videoconferenza, spiega il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, “sarà una tappa intermedia per avvicinare un po’ le posizioni e per capire le differenze tra i capi di Stato e di governo”. Lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avvertito che il Consiglio Europeo avrà solo “natura consultiva”. Il vertice non può essere decisivo anzitutto per la complessità della proposta (sono 22 testi legislativi e occorre tempo perché siano ‘digeriti’ dalle capitali) e, in secondo luogo, perché in videoconferenza non si possono svolgere veri incontri bilaterali, necessari per arrivare ad un’intesa su una materia complessa come l’Mff, quest’anno arricchita da uno strumento inedito come il Recovery Plan. 

Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel valuterà i risultati di questa prima discussione e lavorerà ad una ‘negobox’, un pacchetto da negoziare, cercando un consenso tra le capitali su un accordo che si punta a raggiungere nel mese di luglio. Ancora non si conosce la data del summit successivo, che sarà con ogni probabilità fisicamente a Bruxelles, non in videoconferenza; era circolata quella del 9 luglio, ma ci sono anche altre ipotesi (si parla del 17), ma Michel deciderà il da farsi solo dopo la riunione di domani.  

Michel ha già esplicitamente invitato a non sottovalutare le difficoltà del negoziato, dato che su diversi “punti chiave” si riscontrano “divergenze significative”. Il presidente del Consiglio Europeo ha indicato chiaramente quali sono i punti sui quali le opinioni “devono ancora convergere”, e cioè “la dimensione e la durata dei vari elementi del Recovery Plan” il “modo migliore di allocare gli aiuti e la questione dei prestiti e dei trasferimenti” le questioni “legate alla condizionalità e alla governance” la dimensione e il finanziamento dell’Mff, “incluse le risorse proprie e i rebates”, gli sconti ai contributi al bilancio Ue di cui godono tuttora alcuni Paesi. 

Nessun Paese si oppone alla proposta della Commissione sul Recovery Plan in sé e per sé, come ha detto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Piuttosto, alcuni Paesi considerano la proposta della Commissione come una base di partenza, sulla quale negoziare. Il fronte dei cosiddetti Frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) appare come quello più critico, ma anche gli olandesi, capofila dei Frugali, sono consapevoli della necessità di chiudere un accordo in luglio, prima della pausa estiva. E’ vero che sono a disposizione strumenti di emergenza, che sono prestiti, per arrivare a fine anno (il piano della Bei e le linee di credito del Mes, mentre il piano Sure dovrebbe essere operativo da settembre), ma di fronte ad una crisi che, se le cose andranno bene, comporterà una recessione nel 2020 di oltre sette punti percentuali, quindi quasi doppia di quella del 2009, tutti sono consapevoli che non si può tardare troppo. Ne va della credibilità dell’Ue. 

La lezione della crisi del debito del 2011-12, che in molti sembrano aver recepito, è che temporeggiare, facendo troppo poco e troppo tardi, porta solo a far lievitare i costi di un intervento che comunque, alla fine, si dovrà fare, se si vuole evitare di aggiungere ad una crisi sanitaria seria un disastro finanziario. Tanto più che, come Ursula von der Leyen ha detto ieri in Parlamento, i mercati finanziari hanno già reagito “molto bene” alla proposta di Recovery Plan, prezzandola quindi nelle quotazioni. 

Se l’accordo già prezzato non dovesse profilarsi all’orizzonte, è facile immaginare che cosa accadrebbe in Borsa e sui mercati dei titoli di Stato, tanto che Paolo Gentiloni, intervistato stamani da France 2, ha detto di non voler neanche pensare a che cosa potrebbe accadere, ripetendo la sua certezza che un accordo verrà trovato in luglio. 

Tanto più che sul Pepp, il programma di acquisto di titoli della Bce, aleggiano le incertezze provocate dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca. Nonostante tutto questo, a Bruxelles c’è cautela e si tende a tenere basse le aspettative: “Il presidente Michel resta mobilitato per trovare una soluzione – spiega un alto funzionario Ue – c’è molto entusiasmo in alcune capitali, ma serve l’unanimità: basta un solo Paese contrario per far deragliare tutto”.  

Oltre ai Frugali, a fare resistenza sono anche alcuni Paesi dell’Est, in particolare l’Ungheria, tradizionalmente beneficiari netti del bilancio Ue, ma la loro posizione viene considerata meno difficile da ‘ammorbidire’, dato che hanno beneficiato e continuano a beneficiare del concetto alla base della politica di coesione, cioè aiutare chi rimane indietro. In questo caso, ad essere aiutati dal Recovery Plan sarebbero i Paesi più colpiti dalla pandemia di Covid-19. 

Capofila dei Frugali è il governo olandese, che però ha perso la ‘copertura’ della Germania, che con la proposta di un Recovery Fund da 500 mld di trasferimenti, presentata insieme alla Francia, ha segnato la svolta che poi ha portato alla proposta della Commissione, che consiste essenzialmente in 500 mld di trasferimenti, cui si aggiungono 250 mld di prestiti. Gli olandesi sono particolarmente ostici anche perché nella primavera del 2021 ci saranno le elezioni politiche e nella maggioranza è partita la concorrenza interna: Mark Rutte è premier dal 2010 e c’è chi aspira a succedergli. 

Gli olandesi, anzitutto, hanno una posizione contraria ai trasferimenti, che non è però un ‘no’ assoluto. E’, a quanto si apprende, una posizione più sfumata: L’Aja ritiene che i trasferimenti siano indesiderabili e che nella valutazione presentata dalla Commissione non sia sufficientemente dimostrata la necessità degli stessi. Poiché non esiste un problema di sostenibilità del debito, è il ragionamento di fondo, non si capisce perché non si possa procedere con prestiti. 

L’Olanda vuole discutere sul punto, ma non c’è una chiusura totale: i trasferimenti vengono considerati indesiderabili, che non vuol dire impossibili. E non è passato inosservato il fatto che il governo olandese non ha mai detto che 500 mld di trasferimenti sono troppi. Mezzo bilione di trasferimenti sono il vero cuore della proposta della Commissione, come erano il cuore della proposta francotedesca. 

Il fatto è che i vari Paesi membri “hanno interessi differenti – spiega un alto funzionario Ue – e potrebbero tentare di massimizzare la loro fetta”, che è il caso degli Stati dell’Est, “oppure di ridurre il loro contributo”, che è quello dei Paesi nordici, cui non a caso la Commissione ha già teso una mano, dicendo chiaramente che i ‘rebates’, gli sconti ai contributi al bilancio Ue di cui questi Paesi godono, potranno essere progressivamente ridotti in un arco di tempo molto più lungo di quello originariamente previsto. 

E i rebates, modellati sul rebate britannico ottenuto da Margaret Thatcher negli anni 80, non hanno più ragione di esistere, essendo il Regno Unito uscito dall’Unione e visto che la Pac pesa meno di un tempo nel bilancio Ue. Bisognerà “trovare il modo – continua la fonte – di far sì che entrambi”, cioè i Paesi dell’Est e quelli del Nord, i cui interessi sono divergenti, “possano dare il loro assenso al pacchetto”.  

Per questo il dibattito di oggi è importante, perché servirà a Michel per ‘prendere la temperatura’ dei leader e disegnare così una ‘negobox’ che possa portare a trattare un accordo in grado di accomodare esigenze diverse e divergenti. La trattativa passerà anche dall’Mff, il Quadro Finanziario Pluriennale dell’Ue, che i Frugali, contributori netti, vogliono tenere basso, per non vedersi costretti a contribuire troppo, cosa che provocherebbe problemi interni anche in Svezia, dove c’è un governo a guida socialdemocratica, che però è di minoranza. 

Oggi, spiega l’alto funzionario Ue, “ci piacerebbe concentrarci su un dibattito costruttivo: vogliamo avere un accordo collettivo sul fatto che questi sono tempi eccezionali e che vogliamo andare in una direzione”. Naturalmente, così facendo “ci assumiamo dei rischi: un leader potrebbe alzarsi e dire ‘non posso concordare su questo’ e far saltare il banco. Ma è quello che dobbiamo fare, per sapere se possiamo andare alla fase del negoziato con un mandato, facendo del nostro meglio per raggiungere un accordo”. 

L’impressione è che il vero cuore del Recovery Plan siano i 500 mld di trasferimenti. C’è chi sospetta, ma è impossibile averne conferma, che i 250 mld di prestiti siano stati inseriti nella proposta della Commissione appositamente per essere modificati o tagliati, in modo da preservare i ‘grants’. La proposta del ministro dell’Economia tedesco Olaf Scholz di toglierli dalla scena sembra confermare questa lettura, oltre alla linearità della posizione tedesca, ormai saldamente a favore dei trasferimenti. 

La presidenza tedesca dell’Ue inizierà il primo luglio, cascando “a fagiolo”, come ha osservato Gentiloni. Anche in questo caso, però, a Bruxelles si raccolgono ammonimenti a non dare nulla per scontato: “Il fatto che Francia e Germania abbiano proposto 500 mld di euro di trasferimenti – dice l’alto funzionario – può dare l’impressione che siano ormai garantiti, ma alcune delegazioni sono contrarie ai trasferimenti. Sia i prestiti che i trasferimenti possono essere parte del negoziato”. 

Va comunque notato che l’Olanda non si oppone all’emissione di debito in comune, attraverso la Commissione, per far fronte alla crisi: per un Paese nella cui lingua debito si dice ‘Schuld’, che vuol dire anche ‘colpa’ (come in tedesco), non si tratta di un passo da poco. Tuttavia, visto che viene considerato un fatto eccezionale, il rimborso di questi debiti secondo i nordici dovrebbe partire il prima possibile, e non solo dal 2028. 

Il fatto è che, dal punto di vista dell’Aja, la proposta della Commissione sembra coprire anche carenze di investimenti che c’erano anche prima della crisi da Covid-19. E gli olandesi spingono per un piano che sia pienamente concentrato sull’aiutare i Paesi più colpiti dalla pandemia di Covid-19: tutti capiscono, anche in Olanda, che bisogna fare qualcosa contro la crisi, terribile, che si sta abbattendo sull’economia europea a causa dei lockdown.  

Una crisi che, come ha detto mercoledì Ursula von der Leyen, non finirà davvero se non quando arriverà un vaccino efficace contro la Covid-19. Vaccino che potrebbe arrivare, a quanto ha detto Margrethe Vestager, entro “12-18 mesi”, cioè a metà o a fine 2021. 

Non bisogna dimenticare che in Olanda si voterà per le politiche nella primavera del 2021. Anche per questo, certi virgolettati attribuiti a questo o a quell’esponente del governo rischiano di risultare controproducenti: “Se in Italia nel dibattito su come investire l’idea è di investire per migliorare la situazione a lungo termine, penso che questo abbia un effetto benefico – spiega un alto funzionario Ue – ma se, al contrario, si discute di abbassare l’età pensionabile o altre cose simili, allora questo può essere letto in un certo modo in alcuni Paesi, e radicalizzare le posizioni”. 

Per tornare alle preoccupazioni dei Frugali, va premesso che la proposta della Commissione, articolata in ben 22 proposte legislative, viene considerata anche nelle cancellerie nordiche un lavoro ammirevole, peraltro fatto in poco tempo. Ed è condivisa l’analisi di fondo, cioè che, se non si interviene in qualche modo, le divergenze nell’Unione, che già ci sono, rischiano di aumentare e, a lungo andare, di mettere a rischio il mercato unico e la stessa unione monetaria.  

Ci sono tuttavia perplessità su diversi punti, anzitutto sulla dimensione del Recovery, che è molto maggiore di quella della proposta francotedesca; tuttavia, viene giudicato positivamente il fatto che ogni Paese debba presentare un proprio piano di ripresa e resilienza, che verrà poi discusso con la Commissione, per accedere alle risorse della Recovery and Resilience Facility, vero cuore di Next Generation Eu. 

Anche qui, però, ci sono obiezioni sulla governance di questi piani: nella proposta della Commissione si prevede che vengano esaminati attraverso la comitatologia, una procedura comunitaria che prevede un ruolo preponderante della Commissione (per bocciare un piano occorre la maggioranza qualificata dei Paesi membri). I Frugali vorrebbero un ruolo per il Consiglio, dato che le raccomandazioni specifiche per Paese vengono considerate uno strumento troppo blando. 

Ciò che interessa di più, nell’ottica dei nordici, è che alla fine ogni Paese dell’Unione, specie di quella monetaria, sia più resiliente. Che l’Italia con le risorse del Recovery Plan si riformi e non sia più la maglia nera della crescita nell’area euro e nell’Ue non è solo interesse degli italiani, ma anche degli olandesi.  

Per i Paesi Bassi, che sono un Paese esportatore, o riesportatore, l’Italia è un mercato importante (il quinto per l’export, con un saldo attivo di una decina di miliardi) e il premier Mark Rutte ha già espresso pubblicamente sostegno per le intenzioni riformatrici del premier Giuseppe Conte. Per dirla con Gentiloni, i Paesi frugali “usano molto il mercato unico, sono tra quelli che ne traggono i maggiori vantaggi. Non è una cosa che non gli interessa: non è solo solidarietà, ma un interesse comune”. 

Anche sulla chiave di allocazione delle risorse, i Nordici hanno dei rilievi: la disoccupazione, per esempio, viene considerata un indicatore che risente non solo della crisi della Covid-19, ma anche di ‘legacy issues’. E il riferimento al solo debito pubblico, senza considerare quello privato, potrebbe essere messo in discussione, dato che, considerando sia il debito pubblico che quello privato, Spagna e Olanda hanno livelli di debito simili in rapporto al Pil, pur con un mix completamente diverso. 

A Bruxelles, vista la quantità delle questioni sul tavolo, si invita alla prudenza, ricordando che i Frugali avevano dato segnali di flessibilità anche prima del Consiglio Europeo di febbraio sull’Mff, che si era poi chiuso con un fallimento. L’intervento congiunto pubblicato sul Financial Times viene considerato una mossa negoziale, che fa parte del gioco: prima di un negoziato, conviene mostrarsi uniti e irrigidire le posizioni. 

C’è poi la questione, cruciale, delle nuove risorse proprie, sulle quali i nordici non sono chiusi, ma la considerano un dibattito prematuro: nella loro ottica, prima si affronta la crisi, poi si dibatterà delle risorse proprie. In assenza di nuove risorse proprie, ha avvertito von der Leyen, i debiti che verranno assunti dalla Commissione dovranno essere ripagati o tagliando il bilancio Ue, che è già risicato, o aumentando i contributi degli Stati membri, cosa piuttosto difficile da far passare in molte capitali. 

Se si fosse optato per l’emissione di bond perpetui, come aveva proposto la Spagna (con il plauso immediato di Frans Timmermans, olandese e laburista), il problema del rimborso non si sarebbe posto (sono obbligazioni che pagano solo interessi, il capitale non viene rimborsato), ma sulla via dei Consols, caldeggiati anche da George Soros, gli scogli ideologici si sono rivelati insormontabili. In alcuni Paesi, la sola idea del debito pubblico è parecchio impopolare, tantopiù in vista delle elezioni. 

Il menu delle discussioni è molto ricco, tanto che non ci sono previsioni sui tempi del Consiglio: inizia alle 10, ma non si quando finirà; ci saranno anche due passaggi su altri temi, uno sulla Brexit e l’altro sugli accordi di Minsk. In ogni caso anche i nordici, pur con tutte le loro perplessità, giocano in un’ottica comunitaria: l’Olanda, a quanto si raccoglie a Bruxelles, non partecipa ai Consigli Europei per tenere insieme i quattro Frugali, ma per tenere insieme i 27. La speranza è che dopo il vertice il presidente Michel possa delineare un percorso in grado di portare ad un accordo entro il mese di luglio. 

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