Confindustria, allarme pil: crollo del 9%, poi il rimbalzo 

Una ripartenza difficile per l’industria e i servizi. I dati del Pmi (Purchasing Managers’ Index) confermano che, nonostante la graduale fine del lockdown dal 3 maggio e la possibilità di riapertura dell’attività, la risalita non è completa. Lo rileva Congiuntura Flash del Centro Studi di Confindustria. E’ apprezzabile, ma parziale, nell’industria (45,4 a maggio), che aveva registrato un tonfo ed era già in difficoltà prima del Covid. Molto meno nei servizi (dove alcuni comparti riaprono a giugno), che restano in forte difficoltà (28,9) dopo il tracollo subito. Il problema ora, spiega Csc, è la domanda che resta bassa, per vari beni e servizi, frenando le imprese che hanno riaperto e facendo accumulare scorte. Ore lavorate in caduta. Già a metà maggio, rileva ancora il Csc, le ore autorizzate di cassa integrazione ‘Covid’ erano oltre il picco del 2010. Il ricorso alla cig permetterà un aggiustamento al ribasso delle ore lavorate per occupato e la tenuta dei posti di lavoro. In aprile gli occupati sono calati (-274mila), gli inattivi saliti molto (+746mila). 

In aprile la produzione industriale è scesa del 19,1% (-28,4% a marzo), con cali marcati in tessile-abbigliamento, gomma-plastica, mezzi di trasporto; nonostante il recupero atteso in maggio e giugno, il 2° trimestre registrerà un calo intorno a -20%. Si conferma, perciò, un crollo del Pil (stimato a circa -9,0%, dopo -5,3% nel 1°). Questo sarà il punto di minimo della recessione, perché con la risalita faticosamente avviata si creano le condizioni per registrare un rimbalzo nel 3° trimestre, spiega ancora il Csc che parla di secondo trimestre compromesso. 

Poca, segnala ancora il Csc, è la fiducia per consumi e investimenti. A maggio la fiducia dei consumatori resta bassa e i giudizi sull’opportunità di acquisto di beni durevoli molto negativi: brutto segnale per i consumi. Ancora compressa anche la fiducia tra le imprese manifatturiere, con gli ordini interni dei produttori di beni di consumo e di capitale che restano molto ridotti: arduo programmare investimenti in tale contesto. Inoltre, l’export di beni è crollato di un ulteriore 34,5% in aprile (-16,3% a marzo). La caduta è diffusa ai principali mercati, più forte per beni di investimento e di consumo durevole, i cui acquisti possono essere posticipati. Gli ordini esteri indicano risalita da maggio, ma su livelli molto bassi. I flussi turistici si sono interrotti già a marzo: -83,4% annuo le spese dei viaggiatori stranieri. 

Il Csc segnala, invece, buone notizie dal credito. In aprile si è rafforzato l’aumento dei prestiti alle imprese (+1,7% annuo), con il costo fermo ai minimi (1,1% in media), grazie ai primi effetti delle misure per la liquidità. E’ importante che questo flusso di credito prosegua, per far fronte alle necessità create dal crollo dei fatturati. 

Ancora nel tunnel è l’Eurozona. I dati recenti stanno confermando un quadro molto difficile. Ad aprile, la produzione industriale ha segnato una contrazione del 17,1% tornando sui livelli di metà anni ’90 e il grado di utilizzo è caduto al 60,7%, 20 punti sotto la media storica; il commercio al dettaglio ha registrato un calo dell’11,7%. A maggio, prime note positive: un miglioramento della fiducia nell’industria, ma non nei servizi; una risalita degli indici di attività PMI, ma ancora in zona recessiva. E, prosegue il Csc, effetti economici del Covid-19 fanno apparire la Brexit un problema minore: a seguito del referendum del 2016 il PMI manifatturiero cadde a 48,3, un impatto contenuto se paragonato al minimo appena toccato in aprile (a 32,6), seguito da un recupero parziale a maggio. 

Lo scenario tratteggiato dal Csc vede poi le borse in recupero parziale. Le quotazioni proseguono la risalita, indicando migliorate attese sull’economia, ma con andamento piuttosto incerto: quella USA a metà giugno segna ancora un -8,5% rispetto ai livelli pre-Covid di fine febbraio; in Italia i listini azionari restano più compressi (-22,8%). Il petrolio segnala poi una ripresina. Il prezzo del Brent sta risalendo gradualmente, a 40 dollari per barile a giugno, dal minimo di 19 dollari in aprile. Ciò indica un recupero, sebbene ancora molto parziale, della domanda di greggio a livello internazionale, che era stata abbattuta dalle conseguenze dell’epidemia.  

Fatica il commercio. Si sta avviando una graduale riattivazione degli scambi mondiali e, in particolare, delle catene europee del valore. Tuttavia, la ripresa sarà frenata dalla forte incertezza sanitaria e geoeconomica: è ancora ai massimi a maggio l’indice globale di incertezza di politica economica. E debole è la ripartenza Usa. Ci sono segnali di ripresa, grazie al ripristino parziale delle attività. L’occupazione è in recupero, ma dopo 30 milioni di licenziamenti e con la disoccupazione al 13%. Il rimbalzo a maggio delle vendite al dettaglio (+17,7%) attenua il calo dei consumi nel 2° trimestre. Invece, la produzione stenta a ripartire (+1,4%), rimanendo 15 punti sotto i livelli di febbraio.  

Tra le economie emergenti più importanti, la Cina è l’unica in cui la manifattura è tornata lievemente a crescere (PMI a 50,7 a maggio). A picco, invece, l’industria in Brasile (38,3), Russia (36,2) e India (30,8). L’andamento di queste economie è ancora fortemente legato all’evolvere della pandemia, che negli ultimi giorni si è ripresentata anche a Pechino, rendendo fragile la ripartenza. 

 

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