Non un semplice fondo, ma un Recovery Instrument o Recovery Plan, un Piano per la Ripresa dalla recessione provocata dalla Covid-19, composito, basato su tre pilastri e strettamente legato all’Mff, il Quadro finanziario pluriennale dell’Ue, cosa che, tra l’altro, ne garantisce il controllo democratico da parte del Parlamento Europeo. Finanziato a debito, dovrebbe comprendere sia trasferimenti che prestiti e sosterrà gli investimenti, e le riforme, in linea con le priorità politiche dell’Ue, cioè anzitutto la transizione verso un’economia verde e digitalizzata.
Dopodomani la Commissione Europea presenterà la propria proposta sul Recovery Instrument o Recovery Plan, il quarto strumento del pacchetto anticrisi Ue, e sull’Mff 2021-27, cui il piano di ripresa è legato inestricabilmente. Proposta che poi finirà sul tavolo dei capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo, che dovrebbero esaminarla nell’appuntamento del 17 e 18 giugno, a Bruxelles. Ad approvarla dovranno essere i leader e non è detto che il Consiglio di giugno basti (si ipotizza già un altro vertice in luglio): il commissario all’Economia Paolo Gentiloni è cautamente “ottimista”, ma non nasconde che la partita non sarà semplice. Le grandi linee del Recovery Instrument sono ormai note, ma vista la sua complessità, e soprattutto il suo stretto legame con l’Mff (Multiannual Financial Framework) 2021-27, conteranno molto i particolari: come ha detto Gentiloni, in questa faccenda c’è “un intero inferno di diavoli, nei dettagli”.
La potenza di fuoco è ancora indeterminata, ma la Commissione ha indicato più volte che avrà un calibro intorno al bilione di euro, cioè mille miliardi. La proposta francotedesca parla di 500 mld, la metà, fatta però di soli trasferimenti. Il vicepresidente Valdis Dombrovskis e il commissario Paolo Gentiloni hanno precisato, commentando favorevolmente la proposta di Emmanuel Macron e di Angela Merkel, che la proposta avrà una taglia intorno al bilione, comprendendo sia prestiti che trasferimenti.
Il Parlamento Europeo ha approvato, con una maggioranza larghissima che va dai nazionalisti polacchi del Pis ai socialisti portoghesi, una risoluzione che chiede un fondo da 2mila mld, includendo in questa cifra anche gli investimenti privati mobilitabili. E’ arrivata nel weekend la proposta dei Paesi ‘frugali’ (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca), un non paper di due paginette in cui si ribadiscono le tradizionali linee rosse degli Anseatici: solo prestiti, niente mutualizzazione del debito, durata limitata, riforme e controlli stretti sull’utilizzazione delle risorse.
Nessun Paese Ue comunque, dopo le previsioni di primavera che danno una base numerica alla recessione che sta già affossando l’economia europea, contesta la necessità di uno strumento comune. La battaglia è ora sul come questo strumento dovrà essere strutturato.
In alcuni dei Paesi ‘frugali’, due dei quali (Danimarca e Svezia) sono a guida socialdemocratica, le narrative ancorate al passato, eredità della crisi del debito, sono tuttora molto radicate. Il non paper dei ‘Frugali’ non apporta novità di rilievo al dibattito, ma si limita a ribadire i ‘no’ che caratterizzano la linea ‘rigorista’, che ora sembra non avere più la copertura della Germania, dopo che Angela Merkel ha sposato la linea dei trasferimenti.
Lucas Guttenberg, vicedirettore del Jacques Delors Centre a Berlino, l’ha stroncato: “Il documento – ha commentato – è intellettualmente così pigro che è difficile credere che coloro che l’hanno scritto ci credano. Altri prestiti non risolverebbero alcun problema e trovare una somma macroeconomicamente rilevante tagliando l’Mff in altre parti non è fattibile. Si tratta di una mossa per alzare il prezzo, non di un’alternativa politica”.
La retorica politica e i luoghi comuni, ha sottolineato più volte Gentiloni, devono essere superati se si vuole evitare di restare impantanati in un dibattito che guarda al passato, mentre il presente e il futuro prossimo dell’Ue e dell’Eurozona è fatto di nubi nerissime (il Pil è previsto in calo del 7,7% nell’area euro quest’anno, contro il -4,5% del 2009, annus horribilis della crisi finanziaria).
La Commissione si è limitata a “prendere atto” del documento dei quattro, equiparandolo ad altri contributi. Il presidente del Parlamento David Sassoli è stato esplicito: i Paesi frugali diventino “consapevoli”, ha ammonito, altrimenti servirà “un’Europa a più velocità”. La vicepresidente esecutiva Margrethe Vestager assicura che la proposta della Commissione mostrerà che “la volontà politica” di legare il piano di ripresa al perseguimento del Green Deal e alla transizione digitale “non manca”.
Quale che sia alla fine l’importo del Recovery Instrument, quanti siano i prestiti e quanti i trasferimenti, quanti saranno davvero i soldi ‘freschi’, quante risorse arriveranno poi a conti fatti ai Paesi del Sud, è stata indicata esplicitamente la modalità di finanziamento. Il piano verrà finanziato a debito, debito che non sarà degli Stati membri, ma della Commissione Europea, che ha un rating elevato (tripla A dalla maggior parte delle agenzie).
La Commissione emetterà obbligazioni e i fondi così raccolti dovrebbero essere girati agli Stati membri sotto forma di trasferimenti e probabilmente anche di prestiti back-to-back, seguendo lo stesso meccanismo utilizzato per il piano Sure, che si basa sull’articolo 122 del Tfue, in che proporzione si vedrà. La scadenza delle obbligazioni dovrebbe essere lunga.
L’Alto Rappresentante Josep Borrell, spagnolo, ha detto esplicitamente, parlando agli ambasciatori della Germania, che a luglio assumerà la presidenza di turno del Consiglio Ue, che in Europa serve una “solidarietà vera”, fatta di “trasferimenti”. La Spagna, e anche il finanziere George Soros, hanno indicato la soluzione dei bond perpetui, o Consols, che non prevedono la restituzione del capitale ma solo il pagamento degli interessi.
L’articolo 122, in particolare il comma 2, è stato citato esplicitamente dal vicepresidente Dombrovskis come probabile base giuridica. Alcuni, specie al Nord, nutrono dubbi sulla sua solidità. A garanzia di questi bond, quale che sia la scadenza, sarà il cosiddetto headroom del bilancio Ue, cioè la differenza tra impegni, le spese giuridicamente autorizzate, e pagamenti, quelle effettuate. Von der Leyen ha indicato un tetto del 2% del Reddito nazionale lordo per l’Mff, con un headroom quindi intorno allo 0,8% dell’Rnl.
All’headroom è legato il discorso delle nuove risorse proprie, cioè le fonti autonome di finanziamento per l’Ue, questione di lunga data (la affrontava già il Rapporto di Mario Monti del 2017). Attualmente l’Ue si finanzia con quattro tipi di risorse proprie: dazi doganali e imposta sullo zucchero (13% dei ricavi Ue nel 2015); lo 0,3% dell’Iva raccolta dagli Stati (12%); contributi degli Stati membri calcolati in base all’Rnl (69%); altri ricavi come tasse sui salari del personale comunitario, contributi di alcuni Stati extra Ue, interessi di mora e multe Antitrust (6%).
L’obiettivo è quello di introdurre nuove risorse proprie per finanziare il bilancio comune. “Non è facile – ha detto Gentiloni – ma, se la Commissione diventa un soggetto che va sui mercati a farsi prestare dei soldi per finanziare dei programmi comuni, certamente il tema di aumentare le risorse proprie e trovare nuove forme per migliorare quelle legate alle risorse ambientali, sul piano della capacità di raccogliere tasse”, diventa “molto importante”.
Questo richiederà comunque passaggi non scontati nei Parlamenti nazionali. L’introduzione di nuove risorse proprie permetterebbe di evitare o di ridurre l’aumento, anche in prospettiva, dei trasferimenti all’Ue da parte degli Stati membri. E’ un tema che sta molto caro al Parlamento, che da tempo spinge perché l’Ue abbia nuove risorse proprie, e l’ha scritto chiaramente nell’ultima risoluzione.
Al di là delle modalità di finanziamento, il Recovery Instrument sarà uno strumento composito, basato su tre pilastri, che si aggiungerà ai tre strumenti già approvati (piano Sure, piano Bei e linee di credito del Mes). Il primo pilastro avrà il grosso dei soldi, probabilmente il 50%, e sarà costituito anzitutto dalla Recovery and Resilience Facility (Rrf), che avrà un “chiaro legame” con il semestre europeo, quindi anche con le raccomandazioni specifiche per Paese, e finanzierà negli Stati membri “investimenti e riforme chiave” allineati con le “politiche europee”, come ha detto von der Leyen.
Prenderà spunto dal Bicc, l’embrione di bilancio dell’area euro varato a Lussemburgo alla fine dell’anno scorso, che potrebbe avere un budget superiore a quello inizialmente previsto. La Rrf, nelle parole di von der Leyen, preparerà la strada verso “un’Europa neutrale in termini di emissioni, digitalizzata e resiliente” e sarà focalizzata sulle parti dell’Ue più colpite, dove “le necessità di resilienza sono maggiori”.
Von der Leyen ha menzionato, tra i settori più colpiti dalla crisi, il “turismo” e la “cultura”. Il primo pilastro avrà anche un secondo braccio, oltre alla Rrf, che consisterà nell’aumento dei fondi Ue per la coesione rispetto alla dotazione usuale. Questo surplus verrà allocato “sulla base della severità dell’impatto economico e sociale della crisi”.
Il secondo pilastro mira a rilanciare l’economia e gli investimenti privati, specie in ambiti strategici come il 5G, l’intelligenza artificiale, l’idrogeno, le energie rinnovabili. Dovrebbe prevedere un rafforzamento di InvestEu per il 2021-27, l’erede del piano Juncker. Ci sarà una facility per gli investimenti in catene cruciali per l’autonomia strategica e per “ridurre la dipendenza dall’estero”, anzitutto nella farmaceutica. L’Ue, ha detto von der Leyen, deve “essere in grado di produrre medicinali critici da sola”.
E’ una delle lezioni che la pandemia ha “sbattuto in faccia” all’Ue, per dirla con Paolo Gentiloni: mentre il Sars-Cov-2 infuriava in Europa, diversi Paesi si sono trovati a corto di un medicinale basilare come il paracetamolo, al punto che von der Leyen ha dovuto chiamare personalmente il premier indiano Narendra Modi perché sbloccasse le esportazioni della molecola (Cina e India producono oltre l’80% del paracetamolo a livello mondiale).
E’ molto probabile che sia lanciata anche un’iniziativa, ben finanziata, per la ‘decarbonizzazione’ dello stock esistente di edifici, sia privati che pubblici, che sono inefficienti sotto il profilo energetico e sono attualmente responsabili del 36% delle emissioni climalteranti dell’Ue. Nel secondo pilastro sarà anche presente un Solvency Instrument, che aiuterà a ricapitalizzare o sostenere le “imprese in salute che sono messe a rischio dal lockdown”. Gentiloni ha spiegato che la Commissione sta “discutendo sui criteri di selezione delle imprese che questo strumento di appoggio per evitare fallimenti deve adottare”.
Il terzo pilastro del Recovery Instrument rafforzerà programmi comuni come RescEu, il Meccanismo Ue di protezione civile che sta costituendo riserve strategiche di materiale protettivo e di ventilatori polmonari, e Horizon Europe, il programma di sostegno alla ricerca. L’Ue resta in ritardo rispetto agli Usa in questo campo: la Barda (Biomedical Advanced Research and Development Authority) americana, come spiegava il Wsj, sta finanziando massicciamente, e a fondo perduto, diverse grandi case farmaceutiche che stanno sviluppando vaccini per la Covid-19, perché producano dosi prima di aver terminato l’iter di approvazione ed averne appurato l’efficacia, in modo da poter avere il vaccino disponibile nel minor tempo possibile.
Ci saranno anche un programma Ue dedicato alla salute e piani di sostegno ad alleati e partner. Il Piano per la Ripresa, è stato detto a più riprese, sarà “frontloaded”, a trazione anteriore, cioé con le risorse caricate sui primi anni del 2021-27, quando le necessità saranno maggiori, prevedrà trasferimenti e anche la possibilità di anticipare una parte degli investimenti già quest’anno, utilizzando “provati spazi di finanziamento basati su garanzie nazionali”, ha detto von der Leyen.
Su una cosa von der Leyen è stata abbastanza chiara: per poter funzionare al meglio, il Piano per la Ripresa sarà basato su piani nazionali, che gli Stati membri dovranno redigere, stilando programmi e piani di spesa. Lo ha sottolineato anche il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli: gli Stati membri, ha detto, farebbero bene a “concentrarsi” fin d’ora sulla stesura di questi piani. Insomma, i Paesi Ue dovrebbero mettere un po’ di ordine nelle proprie strutture burocratico-amministrative, che spesso non brillano per efficienza, ha ricordato il presidente del Parlamento.
Perché i soldi, tanti o pochi, non servono a niente se non vengono spesi, e spesi bene: “Se prendiamo un anno normale, prima di Covid-19, i soldi dell’Ue tornano indietro” dai Paesi destinatari, “perché non sanno spenderli”, ha sottolineato ancora Sassoli. E’ un fatto, come ha ricordato l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti alla Stampa, che “storicamente il nostro Paese, con governi di destra e di sinistra, si è mostrato incapace di spendere i fondi delle Regioni del vecchio Obiettivo 1”. I soldi del Recovery Fund andranno spesi bene, se si vuole far ripartire un’economia che per molti anni è stata invariabilmente la maglia nera dell’intera zona euro.