Non più semplicemente Covid Hospital come era stato concepito a marzo nella fase più drammatica dell’emergenza, cioè una distesa di letti di terapia intensiva – la “più grande d’Italia” con i suoi oltre 200 posti a regime – per evitare che l’ondata di malati gravi mandasse in tilt le strutture sanitarie lombarde. L’ospedale in Fiera di Milano potrebbe a breve cambiare pelle e aprire le sue porte a poliambulatori. La Regione Lombardia lavora a un piano, al momento top secret: starebbe pensando a un cambio di programma, un ampliamento. A quanto apprende l’Adnkronos Salute, la prossima settimana se ne parlerà in una riunione tecnica operativa, che dovrebbe essere stata fissata fra martedì e mercoledì.
Fonti regionali confermano che allo studio con il Policlinico del capoluogo lombardo (a cui è stata affidata la gestione dell’ospedale in Fiera) c’è la creazione di “un ambiente nuovo” da usare per servizi ambulatoriali in base alle esigenze (non necessariamente Covid). Spazio che potrebbe essere pronto dal 1 ottobre e verrebbe realizzato con tutte le separazioni dei percorsi necessarie, mantenendo in piedi – stando alle informazioni raccolte – l’allestimento delle postazioni di terapia intensiva da un lato, e dall’altro realizzando il nuovo progetto. Al Portello le aree vuote ci sono e si sta valutando come strutturare il tutto perché sia utilizzabile con flessibilità in base alle esigenze contingenti.
La logica è quella di sfruttare la diagnostica che c’è già, come le due Tac, e in generale non lasciare vuota la struttura, finita a più riprese nel mirino delle polemiche proprio per il suo utilizzo finora limitato. Il piano nasce in un’ottica duplice: recupero delle attività ambulatoriali (alle aziende sanitarie pubbliche lombarde è stato dato come obiettivo di raggiungere il 95% delle attività ambulatoriali dello scorso anno), visto che oggi per le necessità di distanziamento servono nuovi spazi; e utilizzo per diagnostica Covid, separata dal resto delle attività, nel momento in cui aumenta questa attività con il ritorno per esempio della stagione autunnale e invernale e la concomitanza dell’influenza.
La linea a cui si lavora è questa, per una struttura che finisce periodicamente sotto i riflettori. Prima le polemiche per i pochi pazienti ospitati – 17 quelli che sono stati effettivamente ricoverati – che hanno spinto i detrattori ad additare l’opera come una ‘inutile cattedrale nel deserto’, poi il nodo donazioni, rendicontazione spese e fondi utilizzati. Allestito in 4 settimane e inaugurato ufficialmente il 31 marzo, l’ospedale in Fiera è entrato in funzione per i primi pazienti la settimana dopo, il 6 aprile. Erano giorni drammatici, il governatore Attilio Fontana avvertiva: “Siamo vicini al momento in cui non avremo più letti in rianimazione”. Poi il lockdown ha consentito di arginare lo tsunami. E la struttura è ferma dal 9 giugno, da quando cioè è stato dimesso l’ultimo paziente.
Il suo destino? Diversi esponenti della Giunta lombarda ne hanno a più riprese ribadito il potenziale in vista di un’eventuale nuova ondata di casi gravi. A metà giugno è arrivata l’approvazione da parte della Giunta del Piano di rafforzamento delle terapie intensive, sub intensive e delle degenze, piano da 225 milioni di euro pensato sulla base di quanto previsto dal decreto Rilancio. L’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera elencava “fra le soluzioni individuate”, anche “l’ospedale allestito nella Fiera di Milano con una dotazione di 221 posti, così come quello allestito nella Fiera di Bergamo”.
Ora però potrebbe intervenire una virata a correggere in parte la rotta della struttura. Tanto più che a livello nazionale il ministro della Salute Roberto Speranza ha varato un piano di investimenti da quasi mezzo miliardo contro le liste d’attesa, per recuperare le visite perse durante l’emergenza Covid-19. E avere ambulatori da dedicare a una simile missione potrebbe quindi rientrare in questo quadro.
Il nuovo progetto per l’ospedale in Fiera lascia perplessi alcuni esponenti del mondo sanitario: se da un lato c’è chi la trova una possibile via per non sprecare gli investimenti fatti in quell’area, c’è chi vede poco funzionale l’idea dei poliambulatori in quel contesto, per via dell’isolamento. Ancora una volta sarebbe, secondo gli scettici, come “mettere una struttura satellite in ‘aperta campagna’, senza cioè un ospedale alle spalle”.