Dal risparmio sui costi di trasporto e di pranzo a un miglior bilanciamento della vita lavorativa con quella privata, passando per la possibilità di avere maggiore autonomia e responsabilità. Sono solo alcuni dei vantaggi per i lavoratori in smart working nel periodo di lockdown riscontrati dall’indagine nazionale sullo ‘Smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro’, promossa dall’associazione datoriale Cifa, dal sindacato Confsal e dal fondo interprofessionale Fonarcom e realizzata dal Centro studi InContra, nell’ambito dell’iniziativa ‘#IlLavoroContinua’, e presentata oggi sulla piattaforma www.illavorocontinua.it.
Il questionario alla base dell’indagine è stato proposto in maniera onnicomprensiva all’intera platea di lavoratori sul territorio nazionale, indipendentemente dal fatto che avessero o meno sperimentato lo smart working in periodo antecedente o concomitante con la fase di lockdown, indagando, in primis, le motivazioni di questa circostanza.
Su un campione iniziale di 1913 rispondenti, 1804 questionari validi sono stati analizzati, con un tasso di rispondenza maggiore da parte di un pubblico femminile (il 59% del campione è rappresentato da donne, circa il 40% da uomini, una percentuale dell’1% ha preferito non fornire il dato). Di questi, il 2,56% si colloca nella fascia di età ricompresa tra i 18 e i 25 anni; il 21,24% ha dai 26 ai 35 anni; il 31,44% tra i 36 ed i 45 anni; il 29,38% dai 46 ai 55 anni; il 14,44% dai 56 ai 65 anni e solo lo 0.95% più di 65 anni, in linea con l’andamento di entrata/uscita dal mondo del lavoro.
La maggior parte dei rispondenti si dichiara sposata (49.83%), il 26.40% è celibe/nubile, il 17,64% convivente, il 5,62% separato/a-divorziato/a e lo 0,51% vedovo/a. Il grado di istruzione del campione risulta medio-alto: infatti circa il 60% dei rispondenti ha conseguito la laurea (il 46,63% laurea magistrale ed il 16,25 laurea triennale), circa il 37% è in possesso di diploma di istruzione superiore e solo l’1,50% è in possesso di licenza media, così come solo l’1,50% ha conseguito il dottorato di ricerca.
E il profilo professionale rilevato ha consentito al team di ricercatori di controllare le risposte fornite dal campione, distinguendo tra ruolo di responsabile e ruolo di collaboratore. Nel dettaglio, circa il 30% dei rispondenti svolge un ruolo da responsabile, mentre circa il 70% appartiene al ruolo di collaboratore; sul totale dei rispondenti, circa il 21% lavora nel settore pubblico, mentre il 79% di essi lavora nel privato.