Made in Italy e cloud pubblico, un’autostrada verso il futuro 

Nell’Italia appena uscita dal lockdown e che cerca la ripresa, sono molte le aziende italiane che si stanno rivolgendo ai colossi globali della tecnologia per innovare la propria attività e rilanciare il proprio business. Un esempio concreto è il servizio offerto da Amazon. Si chiama Amazon Web Services. L’azienda di Jeff Bezos dispone di tre data warehouse di ultima generazione in Italia. Si tratta di aggregatori centralizzati di dati per la fornitura di cloud alle aziende che, tramite un’analisi precisa delle informazioni, permettono di prendere decisioni ed elaborare strategie di marketing sulla base di indicazioni molto dettagliate. Le nuove strutture, aperte in località top secret in Lombardia, sono sorvegliate giorno e notte. I dati, blindati e a prova di hacker, possono sopravvivere a qualsiasi tipo di calamità. Per garantire la sicurezza e la continuità del servizio, anche in caso di imprevisti, sono stati creati più data center in località distinte, ma tutti connessi tra loro. Un servizio innovativo che viene incontro alle esigenze del made in Italy che vuole investire sul futuro. Nel Paese sono già molte le realtà imprenditoriali e le organizzazioni che si sono rivolte ad AWS per affrontare le sfide poste dalla pandemia. Ancora una volta, però, la piccola e media impresa in Italia è costretta a rivolgersi a un gigante straniero per reggere il passo con i competitorinternazionali.  

Sull’esempio della grande opera di modernizzazione del Paese, messa in atto dallo Stato negli anni ’50 con lacostruzione delle autostrade, un’alternativa per non dover affidare i dati delle aziende italiane alle organizzazioni straniere, è quella della realizzazione di un cloud pubblicoa supporto delle PMI. Ed è questa, in sintesi, la proposta che Aldo Agostinelli, esperto di innovazione e digitale, sta avanzando al Governo da qualche tempo.  

Agostinelli, negli anni ’50 il boom economico favorì lo sviluppo dell’industria automobilistica e delle infrastrutture in Italia. Quell’esempio virtuoso come potrebbe essere replicato in futuro per rilanciare il Paese dopo la crisi generata dalla pandemia?  

Quasi 70 anni fa lo Stato comprese che occorreva dare impulso all’economia e che la mobilità, così come era concepita, non era adeguata per un Paese che voleva evolvere verso la modernità. Si diede così il via alla costruzione delle autostrade. Penso all’A1, per esempio, iniziata nel ‘58 col primo tratto Milano-Piacenza, che pochi anni dopo già collegava Roma a Milano e poi anche Napoli. Le autostrade erano i nuovi grandi hub della viabilità e dell’economia. Oggi non siamo certo in epoca post-bellica ma stiamo comunque vivendo in un periodo post-pandemico. Non serve una ricostruzione fisica quanto virtuale. A causa del Coronavirus tutto o quasi si è fermato per 70 giorni. Di colpo la nostra viabilità non è stata più rappresentata dalle strade ma dal digitale. Ed è su quello che, secondo me, bisogna puntare e continuare a sviluppare per far uscire l’economia dal pantano in cui il Covid ha gettato il Paese e far fare uno scatto in avanti all’export.  

In che modo?  

In particolare penso a un cloud pubblico per le Pmi. I grandi servizi digitali di clouding, stanno facendo ricche le aziende straniere. Da noi non è così: ancora nel 2020, per svolgere le proprie attività le imprese devono arrangiarsi da sole. E non tutte possono sostenerne i costi. Perciò ritengo sia necessario mettere in piedi una struttura informatica pubblica, sviluppata e gestita dai migliori atenei tecnici italiani, che sia in grado di offrire quei servizi oggi indispensabili per la Digital Transformation delle aziende ed incentivare la crescita dell’imprenditorialità nostrana, permettendole di ricominciare a correre. 

Il sistema Italia ha la percezione del reale valore dei dati?  

Direi proprio di no, ma non è un problema solo italiano: è anche europeo. Solo che l’Italia è indietro rispetto alla digitalizzazione e sconta ancora di più il prezzo della mancanza di consapevolezza del grandissimo valore dei dati. Abbiamo enormi moli di dati digitali. Cioè, come dicono tutti, abbiamo tra le mani ‘il petrolio del Terzo Millennio’, ma non abbiamo ancora capito pienamente i vantaggi che possono derivare dall’analizzarli e utilizzarli come si deve. Si continua a dire che le piccole imprese hanno bisogno di basicità. È sicuramente vero. Ma come esistono i consorzi per migliorare la sinergia dei distretti industriali, si può realizzare una struttura pubblica di cloud computing che aiuti lo sviluppo della filiera manifatturiera. Oggi i software consentono di ottenere in pochi istanti rendering di prodotti anche estremamente complessi. E dietro non c’è la fata turchina con la bacchetta magica, ma ci sono i dati.  

Quali vantaggi possono derivare dalla creazione di un cloud pubblico per le piccole e medie imprese? Quali settori potrebbero fare da apripista in un esperimento del genere?  

Faccio un esempio pratico: un’azienda X produce motori per le lavatrici. Se la si aiutasse e sostenesse nello svilupparne di nuovi e più avanzati, magari con un abbattimento dei costi che deriverebbe dal non aver dovuto acquistare in proprio tutta la tecnologia necessaria, perché, appunto utilizzerebbe una struttura già esistente e pubblica, si metterebbe l’azienda X nelle condizioni di poter competere efficacemente sul mercato globale e superare la concorrenza straniera.  

In quest’ottica, cosa possono fare le istituzioni per favorire la digitalizzazione delle aziende? Quali sono i primi passi da compiere? E quali i modelli di riferimento per un’operazione di questo tipo?  

La soluzione è che le istituzioni creino una cloud and computing company, con la presenza dei politecnici italiani per imprimere uno sviluppo tecnologico e commerciale ai consorzi e alle aziende italiane, come già fa Terna con la dorsale elettrica o Open Fiber per la fibra in tutti i comuni italiani.  

Quanto può recuperare l’Italia in termini di competitività, sia in Europa sia nel resto del mondo, adottando un cloud pubblico?  

Può recuperare moltissimo. In primo luogo i dati resterebbero in Italia invece di essere ceduti all’estero, senza per altro alcun vantaggio. In secondo luogo la distribuzione del cloud nelle aziende sarebbe incredibilmente veloce e porterebbe l’Italia ad avere un primato unico in Europa e nel mondo. 

Torniamo quindi alla storia di Mario Rossi e della sua azienda e immaginiamo che l’Italia si sia dotata di un cloud pubblico. L’azienda del signor Rossi ripartirebbe grazie all’aiuto dello Stato. E lo Stato, a sua volta, non correrebbe più il rischio di perdere un patrimonio di dati a tutto vantaggio di un colosso straniero. Il cloud, insomma, è l’autostrada verso il futuro.  

**Aldo Agostinelli è Digital Officer in Sky Italia. In precedenza ha trascorso diversi anni a San Francisco, in qualità di Digital Director di HP.Attualmente è anche Vice Presidente di IAB Italia. Nel 2018 ha pubblicato per Mondadori “People Are Media”. 

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