Smart working, cosa succede dopo il 15 ottobre  

“Una fase delicata, in cui, a prescindere o meno dal rinnovo dello stato di emergenza deciso dal governo, si dovrà trovare un punto di equilibrio tra i protocolli che prevedono la tutela della salute dei lavoratori e il rientro in azienda”. Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro alla Bocconi, presidente di Afol metropolitana (Agenzia formazione e orientamento al lavoro) di Milano e autore della legge 81/2017 (l’attuale norma in vigore sullo smart working), parla con Adnkronos/Labitalia del fenomeno più massiccio che ha interessato il mondo del lavoro all’epoca della pandemia: lo smart working. 

La possibilità di lavorare da remoto è infatti confermata per tutto il 2020 per la metà dei dipendenti della pubblica amministrazione, e fino al 15 ottobre per i dipendenti privati, e agevolazioni per genitori con figli minori di 14 anni. “Dopo il 15 ottobre – spiega Del Conte che è stato il predecessore di Mimmo Parisi alla guida dell’Anpal – lo smart working non sarà più legato all’emergenza e quindi tornerà il regime ordinario, quello per cui sostanzialmente è necessario un accordo tra il lavoratore e l’azienda o tra il sindacato e l’azienda”. Tuttavia, in molti casi, le cose non saranno così semplici, osserva Del Conte.  

“Molte aziende, le più strutturate, si sono già preparate -spiega il professore – alla fase del ritorno, definendo un ‘nuovo’ smart working, uno smart working 2.0, che non è propriamente quello del pre-Covid19, né quello del Covid19, ma è una nuova formula più spinta verso un lavoro che prevede un’alternanza fisico-remoto, una distribuzione tra azienda e telelavoro con un principio di rotazione che dipende dall’organizzazione del lavoro e degli spazi”. 

In pratica, molti potrebbero tornare a lavorare in ufficio per uno-due giorni la settimana o alternare una settimana in sede e una a casa o altre formule ancora. “Di fatto – spiega Del Conte – non siamo fuori dal pericolo sanitario, e ci sono i protocolli Inail da rispettare. Banalmente, molte aziende non potranno proprio prevedere il rientro dei lavoratori negli uffici e certamente nessun datore si vuole assumere la responsabilità di un rientro ‘forzato’, laddove tutti gli accordi, i decreti e i protocolli fin qui emanati parlano esplicitamente di ‘favorire laddove possibile lo smart working'”. 

“Siamo in una fase di transizione – dice Del Conte – in cui, da un lato, saremo, dopo il 15 ottobre, liberi di fare quello che vogliamo, dall’altro saremo condizionati dal rispetto delle regole sanitarie”. Un incrocio che va risolto, osserva il presidente dell’Afol, “nelle realtà specifiche necessariamente in base al luogo e all’organizzazione del lavoro”. 

“Non serve una legge, serve invece – aggiunge Del Conte – più spazio alla contrattazione aziendale, di secondo livello”. E a proposito di sindacati osserva: “Anche le organizzazioni sindacali sono tenute ad evolversi: dovranno riuscire a capire che un rapporto con la base si può avere anche senza il ‘controllo’ sul lavoro fisico, anche senza Rsa o Rsu, e che sarà più importante una contrattazione di qualità. Sarebbe un gravissimo errore se i sindacati si mostrassero ostili allo smart working: vorrebbe dire cercare di fermare il vento con le mani”, sottolinea. 

Del Conte spiega poi che “il vero smart working è quello che sposta quote di responsabilità organizzativa sul lavoratore, abbinando la modalità di rendere la prestazione per obiettivi, per risultati, anziché per il tempo passato in un luogo di lavoro”. 

Una rivoluzione che scardina alcuni ‘dogmi’ della nostra concezione dell’organizzazione del lavoro: basti infatti pensare che le retribuzione e i permessi sono conteggiati su base oraria. “Oggi il lavoro, i processi produttivi – osserva Del Conte – si sono modificati, le imprese sono più ‘leggere’, molte catene di montaggio sono automatizzate e gestite da robot, e oggi un’azienda ‘compra’ e soprattutto dovrebbe pagare come tale, l’intelligenza delle persone”. 

Questo uso della tecnologia, prosegue Del Conte, comporta “che si riducano gli investimenti in lavori di bassa qualità e si sposti il lavoro laddove produce più valore, e laddove si crea più ricchezza”. Non a caso, cita Del Conte, “tutte le analisi fatte sulle prospettive dei lavori futuri ci dicono che la distruzione del lavoro dovuta alle nuove tecnologie è, e sarà sempre di più, concentrata sulle mansioni routinarie”. “Per questo, per questi nuovi lavori di qualità occorrerà investire molto in formazione, a partire da una quota notevole delle risorse del Recovery Fund. Non sarà un caso che la Germania sforni 900.000 diplomati tecnici superiori all’anno e noi 9.000. E’ evidente che abbiamo trascurato parecchio la materia istruzione e formazione professionale”, sottolinea.  

Il 50% dei dipendenti pubblici che possono farlo rimarrà in smart working fino alla fine del 2020, e dal 1° gennaio del prossimo anno la quota salirà al 60%. In tutto, quasi un milione di lavoratori in lavoro agile nella Pa. “Lo smart working – dice ancora il presidente di Afol Metropolitana – può essere una leva formidabile di crescita della pubblica amministrazione, ma solo se smettiamo di parlare di ‘furbetti del cartellino’ e ci concentriamo, invece, su come un ufficio pubblico è organizzato e su come ogni persona possa contribuire all’efficienza nel rendere quel servizio pubblico per cui è stata assunta”. 

Del Conte ricorda che “i problemi della Pa in smart working, evidenziati da alcuni, sono in realtà gli stessi della Pa con i dipendenti negli uffici”. “Ma se c’è un dirigente di una struttura amministrativa in grado di assegnare i compiti, di fare piani di performance basati sui servizi pubblici resi e non su procedure amministrative interne, insomma di impostare il lavoro per risultati, lo smart working diventa una leva di efficienza”, avverte. 

“Riorganizzando i dipartimenti per risultati faremmo fare alla Pa tutta un grande passo in avanti, con una spesa che si ridurrebbe notevolmente. Anche se tutto il risparmio ottenuto dalle minori spese per spazi, trasferte, mobilità, inquinamento, costi sociali di inquinamento, riscaldamento, corrente elettrica, cancelleria – conclude Del Conte – è solo un pezzo del vantaggio dello smart working, importante ma secondario all’interno dell’uso più razionale ed efficiente del lavoro pubblico”.  

(di Mariangela Pani) 

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