“Questo rischio c’è. Aspettiamo i dati di fine maggio ma si parla di qualcosa come 700mila/1 milione di posti di lavoro che sarebbero a rischio, poi sono bloccati per decreto ma il rischio esiste. In Italia si è sempre pensato che il lavoro venisse per decreto, ma l’economia è qualcos’altro”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, durante un evento di Fondazione Fiera. “I posti di lavoro si creano – dice – se c’è crescita, se ci sono investimenti, il problema dell’automotive non si risolve con la cassa integrazione”. E ancora, sui grandi dossier come Ilva e Aspi, Bonomi sottolinea che “sono affrontati dal punto di vista del dividendo elettorale”. Come Paese, continua, “non riusciamo a fare un salto di qualità, tutti pensano che prima o poi ci sarà lo Stato che interviene con sussidi a pioggia, ma le risorse sono finite, da un pezzo”.
Per Bonomi la Fase 2 è “un’opportunità da non sprecare” ma la classe politica per ora ha “zero visione”. “Io vedo la classe politica, non parlo di Governo, parlo di ceto politico molto concentrato sull’emergenza, giustamente, ma con zero visione e zero strategie su dove dobbiamo andare e questo mi preoccupa molto”, afferma, ma “ci sono dei nodi che dobbiamo affrontare”, e cita automotive, fisco, “che deve essere una leva di competitività”, lavoro e acciaio. Ci sono “visioni diverse all’interno dello stesso partito, così diventa tutto complicato”. Ora “abbiamo delle grandi questioni che dobbiamo affrontare, slegati e scevri da ogni interesse di parte e dividendo elettorale: è una grande opportunità, forse l’ultima e – dice Bonomi – sarei deluso se questo Paese sprecasse questa opportunità”.
Il presidente di Confindustria auspica al più presto un “tavolo dove mettere insieme pubblico e privato”, altrimenti il Paese soffrirà: “Devo dire che a marzo abbiamo vissuto tutti attimi di grandi smarrimento, io auspico che questo tavolo dove mettere insieme pubblico e privato, le energie migliori del Paese venga fatto al più presto”. Oggi, invece, “non lo vedo” e si risponde “a mille persone che bussano al Palazzo, nella ricerca di accontentare tutti con interventi a pioggia che non funzionano”. Bonomi in questo periodo ha cercato di “esprimere un pensiero riguardo a una direzione per il futuro, non volendo essere corporativista e ho limitato questi interventi per non alimentare polemiche né divisioni che non servono”. A breve, però, “credo che questo tavolo virtuale si debba riunire, se no questo Paese avrà un declino che non sarà neanche tanto lento. Questo non lo accetto e non lo voglio, non ce lo possiamo permettere, l’Italia non merita questo”.
Per quanto riguarda il Recovery fund “ci regala speranza ma il track record di questo Paese nell’utilizzo dei fondi e nella gestione degli investimenti non è positivo, anzi. Normalmente abbiamo sprecato delle grandi occasioni”.
“Non vorrei che ci illudessimo tutti che questi finanziamenti e fondi, parliamo di 172 miliardi, possano arrivare domani mattina. Sarà un percorso lungo per averli che prevede l’unanimità di voto all’interno della Comunità europea e sarà soggetto a tantissime contrattazioni e condizionalità, sappiamo l’atteggiamento dei paesi del nord Europa rispetto a quelli del Sud”, afferma. “È come arriveremo ad avere quei soldi, quali saranno le condizioni e come saremo in grado di spenderli” il problema.
Il presidente di Confindustria, che è da poco anche presidente di Fiera Milano, è critico sull’atteggiamento del Governo in merito al settore fieristico. “Non sappiamo ancora quando riapriranno le fiere. Il governo ancora non ci ha dato una data in cui si aprirà. Tutti auspichiamo e presumiamo settembre, ma non lo sappiamo ancora e non sappiamo le condizioni”, afferma. E quello che non è chiaro, sottolinea, “è che se noi non riapriremo non è che bruciamo il 2020, bruciamo per molte imprese il 2021. I fatturati e i mercati del 2021”. Secondo Bonomi, “bisogna capire cosa è il sistema fieristico e avere l’umiltà di capire che da soli non ce la facciamo: noi abbiamo due fiere famose nell’ambito dell’alimentare che anche se messe insieme non sono neanche la metà di quella che si fa a Colonia. O capiamo che la competizione è fortissima e che le fiere sono uno strumento di politica industriale e insieme troveremo le condizioni per stare sul mercato o rimarremo il solito Paese dei numerosi campanili fini a se stessi”.