Il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui. Analisi giuridico-operativa dell’art. 634 bis del Codice Penale

Il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui. Analisi giuridico-operativa dell’art. 634 bis del Codice Penale

Il nuovo reato di “Occupazione Arbitraria di Immobile” destinato a domicilio altrui. Analisi giuridico-operativa dell’Art. 634 bis del Codice Penale introdotto dal D.L. n. 48/2025

a cura di: Avv. Roberto ANTONELLI, Dirigente, Comandante della Polizia Locale di Ciampino (Roma).

Premessa

L’entrata in vigore del Decreto Legge 11 aprile 2025, n. 48, successivamente convertito in Legge n. 80/2025, ha segnato una svolta epocale nella tutela penale del “diritto all’abitazione”.

L’introduzione dell’art. 634 bis del Codice Penale, rubricato “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, unitamente al correlato art. 321 bis del Codice di Procedura Penale sulla “Reintegrazione nel possesso dell’immobile”, rappresenta il culmine di un percorso legislativo volto a fornire una risposta più incisiva ed efficace al crescente fenomeno delle occupazioni abusive di immobili destinati all’abitazione.

La genesi di questa riforma affonda le radici in una duplice esigenza emersa dalla prassi giudiziaria e dall’esperienza operativa delle forze dell’ordine. Da un lato, la crescente diffusione di occupazioni abusive di immobili residenziali, spesso accompagnate da episodi di violenza o intimidazione nei confronti dei legittimi proprietari; dall’altro, l’inadeguatezza degli strumenti normativi esistenti nel garantire una tutela tempestiva ed efficace dei diritti dei soggetti danneggiati, costretti ad affrontare lunghi e costosi procedimenti giudiziari per rientrare in possesso delle proprie abitazioni.
Il legislatore del 2025 ha dunque inteso colmare una lacuna sistematica che rendeva spesso illusoria la tutela del diritto all’abitazione, configurando una fattispecie autonoma di reato che si caratterizza per la sua specificità rispetto alle norme preesistenti e per l’introduzione di meccanismi procedurali d’urgenza che attribuiscono alla Polizia Giudiziaria, poteri di intervento immediato in circostanze particolarmente gravi.


1. Il nuovo paradigma della tutela penale dell’abitazione

L’introduzione dell’art. 634 bis c.p. non rappresenta una mera aggiunta al catalogo dei reati contro il patrimonio, ma costituisce l’espressione di una nuova “filosofia legislativa” che riconosce al diritto all’abitazione una dimensione che trascende la mera tutela patrimoniale per abbracciare valori costituzionalmente rilevanti legati alla dignità della persona e al libero sviluppo della personalità.

La norma si inserisce nel Titolo XIII del Codice Penale, dedicato ai delitti contro il patrimonio, ma la sua ratio va ben oltre la protezione dei diritti dominicali tradizionalmente intesi. Il legislatore ha infatti voluto tutelare il domicilio non solo come bene economico, ma come spazio esistenziale fondamentale per lo sviluppo della personalità umana, riconoscendo quella dimensione antropologica dell’abitare che la giurisprudenza costituzionale ha progressivamente elaborato nell’interpretazione dell’art. 14 della Costituzione.

Questa evoluzione concettuale emerge chiaramente dalla formulazione della fattispecie, che non si limita a punire genericamente l’occupazione di immobili altrui, ma circoscrive la propria applicazione agli “immobili destinati a domicilio altrui”, operando una distinzione qualitativa che evidenzia la peculiare rilevanza attribuita dal legislatore alla funzione abitativa. Tale scelta sistematica riflette la consapevolezza che l’abitazione costituisce il nucleo primario della vita privata e familiare, meritevole di una tutela penale rafforzata rispetto ad altri beni immobili.

La collocazione sistematica della norma all’interno del codice penale, immediatamente dopo l’art. 634 c.p. relativo all’estorsione, non è casuale ma evidenzia la volontà del legislatore di configurare una fattispecie che, pur mantenendo la propria autonomia, condivide con l’estorsione alcuni tratti caratterizzanti, in particolare l’uso della violenza o della minaccia come modalità di realizzazione della condotta criminosa. Questa prossimità sistematica sottolinea la gravità attribuita dal legislatore alle condotte di occupazione abitativa quando realizzate mediante coercizione.


2. Analisi dogmatica della fattispecie

L’art. 634 bis c.p. configura una fattispecie complessa e articolata, caratterizzata da una pluralità di condotte tipiche alternative tra loro, tutte accomunate dall’offesa al medesimo bene giuridico ma realizzate attraverso modalità differenti. La struttura normativa rivela una particolare attenzione del legislatore nel voler abbracciare l’intero spettro delle condotte lesive del diritto all’abitazione, dalle più evidenti e violente a quelle più subdole e fraudolente.

La prima condotta tipica prevista dalla norma è quella dell’occupazione o detenzione senza titolo di un immobile destinato a domicilio altrui mediante violenza o minaccia. Questa previsione rappresenta il nucleo centrale della fattispecie e si caratterizza per la necessaria presenza dell’elemento della coercizione, che distingue nettamente il nuovo reato dall’invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 c.p. L’espressione “occupare o detenere” evidenzia la volontà del legislatore di punire non solo l’ingresso abusivo nell’immobile, ma anche la permanenza illegittima successiva, configurando così un reato di natura permanente la cui consumazione si protrae nel tempo fino al cessare della condotta.

L’elemento della violenza deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente la persona offesa della libertà di azione e di determinazione. Non è necessario che la violenza si concretizzi in lesioni personali o danneggiamenti, essendo sufficiente anche una violenza meramente intimidatoria purché idonea a conseguire il risultato. La minaccia, dal canto suo, consiste nella prospettazione di un male futuro, non necessariamente consistente in violenza fisica, potendo riguardare anche pregiudizi di natura economica o sociale.

La seconda condotta tipica riguarda l’impedimento al rientro nel medesimo immobile al proprietario o a colui che lo detiene legittimamente. Questa previsione mira a colpire quelle situazioni in cui l’occupante, già insediatosi nell’immobile, impedisce al legittimo titolare di rientrarvi, configurando una forma di violenza possessoria particolarmente odiosa. La condotta può realizzarsi tanto attraverso impedimenti materiali quanto mediante intimidazioni o minacce rivolte al proprietario.

La terza modalità di realizzazione del reato è costituita dall’appropriazione dell’immobile mediante artifizi o raggiri. Questa previsione amplia notevolmente l’ambito di applicazione della norma, estendendola anche a condotte fraudolente che non comportino l’uso della forza fisica. Gli artifizi e i raggiri devono essere intesi secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale elaborata in relazione alla truffa, comprensiva di qualsiasi mezzo fraudolento idoneo a trarre in inganno la vittima e a conseguire il risultato criminoso.

Le ultime due condotte tipiche riguardano rispettivamente la cessione dell’immobile occupato ad altri e la cooperazione nell’occupazione, comprensiva della ricezione di utilità economiche connesse all’occupazione stessa. Queste previsioni testimoniano la volontà del legislatore di colpire non solo l’occupante diretto, ma anche tutti coloro che, a vario titolo, contribuiscono alla realizzazione o al mantenimento dell’occupazione abusiva, configurando una vera e propria rete di condotte criminose satellite rispetto all’occupazione principale.

L’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, che richiede la consapevolezza dell’arbitrarietà dell’occupazione e dell’altruità dell’immobile. Non è sufficiente una mera negligenza o imprudenza, essendo necessaria la piena consapevolezza della mancanza di un titolo legittimo all’occupazione. Questo aspetto assume particolare rilevanza nelle situazioni borderline, come quelle che vedono coinvolti soggetti che vantano pretese possessorie fondate su rapporti contrattuali scaduti o contestati.


3. L’Oggetto materiale del reato: il concetto di “immobile destinato a domicilio altrui”

La delimitazione dell’oggetto materiale del reato costituisce uno degli aspetti più significativi e innovativi della nuova fattispecie. L’espressione “immobile destinato a domicilio altrui” non è frutto di una scelta lessicale casuale, ma riflette una precisa volontà del legislatore di circoscrivere l’ambito di applicazione della norma agli immobili che rivestono una particolare rilevanza esistenziale per i loro legittimi titolari.

Il concetto di “domicilio” deve essere interpretato in senso sostanziale piuttosto che meramente formale, facendo riferimento non tanto alla residenza anagrafica quanto al luogo in cui una persona ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi vitali. Questa interpretazione è coerente con l’orientamento giurisprudenziale consolidato che ha progressivamente ampliato la nozione di domicilio oltre i confini della mera registrazione amministrativa, abbracciando anche quelle situazioni in cui sussista un legame esistenziale effettivo tra la persona e il luogo.

La destinazione abitativa dell’immobile deve sussistere al momento dell’occupazione e deve riferirsi ad un soggetto diverso dall’occupante. Ciò significa che la norma non trova applicazione nei casi di immobili lasciati stabilmente vuoti dal proprietario senza alcuna destinazione abitativa, né quando l’immobile sia destinato ad usi diversi da quello residenziale, quali attività commerciali, industriali o di servizio.

Particolare attenzione merita la questione degli immobili pubblici destinati ad uso abitativo. La modifica dell’art. 639 bis c.p., che prevede la procedibilità d’ufficio quando il fatto sia commesso nei confronti di un bene pubblico o destinato a uso pubblico, chiarisce che anche gli immobili di proprietà pubblica destinati all’abitazione (come gli alloggi di edilizia residenziale pubblica) rientrano nell’ambito di applicazione della norma. Questa estensione assume particolare rilevanza operativa, considerando la frequenza con cui si verificano occupazioni abusive di alloggi di questo tipo.

Le pertinenze dell’immobile abitativo sono espressamente incluse nell’oggetto materiale del reato, purché mantengano un rapporto di strumentalità e complementarità con l’immobile principale. Rientrano in questa categoria le cantine, i garage, i giardini privati e gli spazi condominiali a uso esclusivo del titolare dell’abitazione principale.


4. La dimensione processuale: l’articolo 321 bis del Codice di Procedura Penale

L’introduzione dell’art. 321 bis c.p.p. rappresenta forse l’aspetto più innovativo dell’intera riforma, configurando un meccanismo processuale d’urgenza che attribuisce alla Polizia Giudiziaria poteri di intervento immediato senza precedenti nel panorama del diritto processuale penale italiano. La norma si inserisce nel Titolo IV del Libro V del Codice di Procedura Penale, dedicato alle misure cautelari reali, ma presenta caratteristiche peculiari che la rendono un unicum nel sistema processuale.

La ratio dell’art. 321 bis c.p.p. risiede nella necessità di fornire una risposta immediata a situazioni di particolare urgenza sociale, quelle in cui l’occupazione abusiva priva una persona dell’unica abitazione a sua disposizione. In tali circostanze, la tradizionale sequenza procedimentale che prevede l’intervento della magistratura inquirente e requirente risulterebbe incompatibile con l’urgenza della situazione, esponendo la vittima del reato a un pregiudizio irreparabile.

La procedura ordinaria prevista dalla norma mantiene il tradizionale ruolo di garanzia affidato alla magistratura. Su richiesta del Pubblico Ministero, infatti, il Giudice competente può disporre con decreto motivato la reintegrazione nel possesso dell’immobile oggetto di occupazione arbitraria. Prima dell’esercizio dell’azione penale, la competenza spetta al Giudice per le Indagini Preliminari, mentre successivamente è attribuita al giudice del dibattimento.

Tuttavia, è nella procedura d’urgenza che si manifesta l’aspetto più rivoluzionario della riforma. Quando l’immobile occupato costituisce l’unica abitazione effettiva del denunciante, la legge attribuisce agli ufficiali di Polizia Giudiziaria il potere di intervenire direttamente, senza preventiva autorizzazione giudiziaria, per ordinare il rilascio dell’immobile e procedere alla reintegrazione immediata del legittimo possessore.

Questo meccanismo rappresenta una deroga significativa al principio generale che riserva all’autorità giudiziaria le decisioni relative alla limitazione dei diritti fondamentali. La deroga è giustificata dall’urgenza della situazione e dalla necessità di tutelare un bene – l’unica abitazione – la cui perdita comporterebbe un pregiudizio particolarmente grave e difficilmente reversibile per la vittima del reato.

Il concetto di “unica abitazione effettiva” costituisce il presupposto fondamentale per l’attivazione della procedura d’urgenza e richiede un’interpretazione che vada oltre la mera verifica formale della residenza anagrafica. È necessario accertare che l’immobile rappresenti effettivamente l’unico luogo in cui il denunciante ha stabilito il proprio domicilio abituale, escludendo quindi i casi in cui il soggetto disponga di altre abitazioni utilizzabili. La valutazione deve essere condotta in concreto, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso e delle condizioni economiche e sociali del denunciante.


5. I “fondati motivi” per l’intervento della Polizia Giudiziaria

La disposizione dell’art. 321 bis c.p.p. subordina l’intervento immediato della Polizia Giudiziaria alla sussistenza di “fondati motivi per ritenere l’arbitrarietà dell’occupazione”. Questa formulazione richiama il concetto del fumus commissi delicti tipico delle misure cautelari, ma si caratterizza per la necessità di una valutazione rapida e necessariamente sommaria che gli operatori devono condurre sul campo.

I fondati motivi non richiedono la certezza dell’arbitrarietà dell’occupazione, ma devono basarsi su elementi di fatto concreti e persuasivi che rendano ragionevolmente probabile la sussistenza del reato. Tra gli elementi che possono concorrere a fondare tale valutazione rientrano: la mancanza di documentazione che giustifichi la presenza nell’immobile, le modalità violente o fraudolente dell’occupazione, la resistenza opposta dall’occupante alle richieste di chiarimenti, le testimonianze di vicini o terzi che abbiano assistito all’occupazione, l’eventuale effrazione di serrature o sistemi di sicurezza.

Particolare delicatezza assume la valutazione nei casi in cui l’occupante alleghi l’esistenza di un titolo, anche se apparentemente scaduto o contestato. In tali situazioni, la Polizia Giudiziaria deve condurre un’analisi sommaria ma accurata della documentazione prodotta, valutando la plausibilità delle ragioni addotte e la sussistenza di elementi che facciano presumere la malafede dell’occupante. La presenza di un rapporto contrattuale scaduto non esclude automaticamente l’arbitrarietà dell’occupazione, specialmente quando il soggetto si opponga al rilascio mediante violenza o minaccia.

La valutazione dei fondati motivi deve inoltre tenere conto delle circostanze modali dell’occupazione. Un conto è l’occupazione realizzata mediante effrazione notturna in assenza del proprietario, altro è la situazione in cui un ex inquilino, scaduto il contratto di locazione, opponga resistenza alle richieste di rilascio. In quest’ultimo caso, la sussistenza dei fondati motivi dipenderà dalla verifica dell’effettiva scadenza del rapporto contrattuale, delle modalità con cui è stata comunicata la disdetta e della natura della resistenza opposta dal soggetto.


6. Le modalità di commissione del reato

L’art. 634 bis c.p. prevede una pluralità di modalità attraverso le quali può essere realizzata la condotta criminosa, evidenziando la volontà del legislatore di abbracciare l’intero spettro delle possibili forme di aggressione al diritto all’abitazione.

La violenza rappresenta la modalità più evidente e tradizionale di realizzazione del reato. Il concetto giuridico di violenza, consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, comprende qualsiasi energia fisica spiegata contro persone o cose, idonea a superare la resistenza della vittima e a conseguire il risultato voluto. Non è necessario che la violenza si concretizzi in lesioni personali, essendo sufficiente anche una violenza meramente intimidatoria o simbolica, purché idonea a determinare nella vittima uno stato di soggezione tale da impedirle di opporsi efficacemente alla condotta dell’agente.

Nel contesto dell’occupazione immobiliare, la violenza può manifestarsi attraverso l’effrazione di porte, finestre o altri sistemi di chiusura, ma anche attraverso condotte meno evidenti come la manomissione di serrature, l’uso di chiavi false o duplicate, o ancora attraverso spinte, strattonamenti o altre forme di coercizione fisica nei confronti del legittimo possessore presente nel momento dell’occupazione.

La minaccia costituisce una modalità alternativa alla violenza e consiste nella prospettazione di un male futuro, non necessariamente consistente in violenza fisica. La minaccia può riguardare la persona del proprietario, i suoi familiari o i suoi beni, e può essere espressa verbalmente, per iscritto o attraverso comportamenti concludenti. L’idoneità della minaccia deve essere valutata in concreto, tenendo conto delle circostanze del caso, della personalità dei soggetti coinvolti e del contesto in cui la condotta si realizza.

Gli artifizi e i raggiri rappresentano una modalità di realizzazione del reato particolarmente insidiosa, in quanto prescinde dall’uso della forza per realizzarsi attraverso l’inganno. Questa previsione normativa consente di punire quelle condotte fraudolente attraverso le quali alcuni soggetti riescono ad appropriarsi di immobili altrui facendo leva sulla buona fede o sull’ignoranza dei legittimi proprietari. Esempi tipici di questa modalità di commissione del reato sono costituiti dalla falsificazione di documenti contrattuali, dalla sostituzione di persona nelle trattative immobiliari, dall’utilizzo di documentazione artatamente alterata per dimostrare inesistenti diritti sull’immobile.

La cessione dell’immobile occupato ad altri rappresenta una condotta autonoma che testimonia la volontà del legislatore di colpire anche le forme di commercializzazione dell’occupazione abusiva. Questa previsione mira a contrastare quelle situazioni in cui l’occupazione si trasforma in un vero e proprio business illecito, con soggetti che occupano immobili per poi cederli a terzi dietro corresponsione di somme di denaro.

Infine, la norma punisce anche le condotte di cooperazione nell’occupazione, comprensive dell’intromissione e della ricezione di utilità economiche connesse all’occupazione stessa. Questa previsione ha carattere residuale e mira a colpire tutte quelle forme di partecipazione all’illecito che non rientrano nelle ipotesi di concorso nel reato principale, configurando una sorta di favoreggiamento specifico dell’occupazione abusiva.


7. La causa di non punibilità e i meccanismi deflattivi

L’art. 634 bis, comma 3, c.p. introduce una significativa causa di non punibilità che rappresenta uno degli aspetti più innovativi dell’intera riforma. La disposizione prevede che non è punibile l’occupante che collabori all’accertamento dei fatti e ottemperi volontariamente all’ordine di rilascio dell’immobile.

Questa previsione si inserisce in una più ampia strategia legislativa volta alla deflazione del contenzioso penale e al ripristino della legalità attraverso meccanismi premiali che incentivino la collaborazione dell’autore del reato. La ratio della norma risiede nella considerazione che l’interesse primario del proprietario danneggiato consiste nel rientro in possesso dell’immobile piuttosto che nella punizione dell’occupante, e che tale obiettivo può essere conseguito più efficacemente attraverso strumenti di incentivazione piuttosto che mediante la mera repressione penale.

La collaborazione all’accertamento dei fatti deve essere effettiva e sostanziale, non limitandosi al mero riconoscimento formale della propria responsabilità. Il soggetto deve fornire elementi utili alla ricostruzione delle modalità e delle circostanze dell’occupazione, delle eventuali complicità, delle condizioni dell’immobile al momento dell’ingresso. Tale collaborazione assume particolare valore quando consente di chiarire aspetti controversi della vicenda o di identificare altri soggetti coinvolti nell’occupazione.

L’ottemperanza volontaria all’ordine di rilascio deve essere tempestiva e incondizionata. Non è sufficiente la disponibilità generica a rilasciare l’immobile, ma è necessario che il soggetto dia effettivo corso al rilascio nei tempi e nei modi stabiliti dall’autorità competente. La volontarietà esclude i casi in cui il rilascio avvenga sotto la minaccia di misure coercitive o dopo l’avvio di procedure esecutive.

È importante sottolineare che la causa di non punibilità opera anche quando l’ordine di rilascio provenga da autorità diverse da quelle penali, come nel caso di ordinanze emesse in sede civile per la reintegrazione nel possesso. Questa estensione evidenzia la volontà del legislatore di incentivare il ripristino della legalità indipendentemente dalla sede giurisdizionale in cui si svolge la controversia.


8. Profili di diritto processuale e strumenti coercitivi

La cornice edittale prevista per il nuovo reato, reclusione da due a sette anni, determina significative conseguenze sul piano processuale e cautelare. Il reato rientra nella competenza del Tribunale in composizione monocratica e richiede lo svolgimento dell’udienza preliminare, configurandosi come procedimento a “doppio filtro” che garantisce un controllo rafforzato sull’esercizio dell’azione penale.

L’entità della pena edittale consente l’applicazione dell’intero “arsenale” delle misure cautelari previste dal codice di procedura penale. È ammessa la custodia cautelare in carcere quando sussistano le condizioni di cui all’art. 280 c.p.p., così come l’applicazione di tutte le altre misure coercitive e interdittive. Questa possibilità assume particolare rilevanza deterrente e può essere utilizzata nei casi di occupazioni seriali o quando l’occupante mostri particolare contumacia nel persistere nella condotta illecita.

L’art. 634 bis c.p. è inserito nell’elenco dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di cui all’art. 380, comma 2, lett. I, c.p.p. Questa previsione consente agli operatori di polizia giudiziaria di procedere all’arresto immediato di chiunque venga colto nell’atto di commettere il reato, senza necessità di preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria. L’arresto in flagranza assume particolare significato operativo nei casi di occupazione violenta realizzata in presenza degli operatori o immediatamente prima del loro intervento.

È inoltre consentito il fermo di indiziato di delitto ai sensi dell’art. 384 c.p.p., strumento che può essere utilizzato quando sussistano gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di fuga dell’indagato. Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali sono ammesse, rientrando il reato nell’elenco di cui all’art. 266, comma 1, lett. A, c.p.p.


9. Il ruolo operativo della Polizia Locale

La novella del 2025 attribuisce alla Polizia Locale un ruolo di assoluto protagonismo nella gestione delle emergenze abitative, configurando un modello di intervento che coniuga immediatezza dell’azione e garanzie procedurali. Gli operatori di polizia locale, in quanto ufficiali di polizia giudiziaria, sono infatti chiamati a gestire direttamente le situazioni di maggiore urgenza, quelle che riguardano l’unica abitazione del denunciante.

La procedura d’urgenza si articola in una sequenza di fasi operative che richiedono specifiche competenze tecniche e una particolare sensibilità nell’approccio alle situazioni conflittuali. La prima fase consiste nella ricezione della denuncia o querela e nell’espletamento dei primi accertamenti volti a verificare la sussistenza dei presupposti per l’intervento d’urgenza. Questa fase richiede particolare attenzione nella raccolta della documentazione relativa alla proprietà o al legittimo possesso dell’immobile, nell’accertamento che si tratti effettivamente dell’unica abitazione del denunciante e nella verifica preliminare delle circostanze dell’occupazione.

La seconda fase prevede l’intervento senza ritardo presso l’immobile oggetto della denuncia. L’espressione “senza ritardo” non deve essere interpretata nel senso di immediatezza assoluta, ma come obbligo di intervenire nel più breve tempo possibile compatibilmente con le esigenze operative e la necessità di organizzare adeguatamente l’intervento. La fase del sopralluogo riveste importanza cruciale, in quanto è in questo momento che gli operatori devono valutare la sussistenza dei fondati motivi per ritenere arbitraria l’occupazione.

La terza fase, eventuale, riguarda l’emissione dell’ordine di rilascio e la reintegrazione contestuale del denunciante nel possesso. Questa fase richiede particolare prudenza operativa, in quanto gli operatori devono bilanciare l’esigenza di tutelare il diritto del proprietario con la necessità di rispettare i diritti dell’occupante, incluso il diritto di difesa e il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti.

Quando l’occupante opponga resistenza all’ordine di rilascio o si renda irreperibile, la legge prevede la possibilità di procedere al rilascio coattivo, previa autorizzazione del Pubblico Ministero. Questa autorizzazione può essere richiesta e ottenuta attraverso diversi canali comunicativi – scritto, orale con successiva conferma, telematico – evidenziando la volontà del legislatore di non ostacolare l’intervento d’urgenza con formalità eccessive, pur mantenendo il controllo dell’autorità giudiziaria sulle operazioni più invasive.


10. Problematiche interpretative e questioni controverse

L’applicazione dell’art. 634 bis c.p. e dell’art. 321 bis c.p.p. presenta diverse criticità interpretative che gli operatori devono saper affrontare con competenza e prudenza. Una prima questione riguarda la definizione dei confini tra il nuovo reato e le fattispecie preesistenti, particolarmente complessa nei casi in cui la stessa condotta possa integrare più reati.

La recente pronuncia della Cassazione Penale (Sez. V, sentenza n. 17653 del 9 maggio 2025) ha chiarito che i reati di violazione di domicilio e invasione di terreni o edifici non si pongono in rapporto di specialità con l’art. 634 bis c.p., potendo configurarsi in concorso quando realizzati con la medesima condotta. Questa soluzione giurisprudenziale, pur fornendo un importante chiarimento sistematico, pone questioni applicative non marginali, specialmente in relazione al principio di proporzionalità delle sanzioni.

Una seconda criticità riguarda la gestione delle situazioni in cui siano coinvolti soggetti vulnerabili, quali minori, anziani, disabili o persone in condizioni di particolare fragilità economica e sociale. In tali casi, gli operatori devono bilanciare l’esigenza di tutelare il diritto del proprietario con la necessità di evitare che l’intervento determini situazioni di emergenza umanitaria. La legge non fornisce indicazioni specifiche per questi casi, rimettendo agli operatori la responsabilità di individuare soluzioni che rispettino tutti i diritti in gioco.

Particolare complessità assume la gestione delle occupazioni che si inseriscono nel contesto di controversie familiari, come quelle che si verificano in occasione di separazioni o divorzi. In tali situazioni, la qualificazione giuridica della condotta richiede un’analisi attenta dei rapporti tra i soggetti coinvolti e dei provvedimenti giudiziari eventualmente intervenuti nella controversia matrimoniale.

Un’altra questione problematica riguarda la determinazione del momento consumativo del reato e la conseguente decorrenza del termine di prescrizione. La natura permanente del reato comporta che la prescrizione inizi a decorrere solo dal momento in cui l’occupazione termina, ma la definizione precisa di questo momento può presentare difficoltà nei casi in cui il rilascio avvenga gradualmente o in cui sussistano contestazioni sulla completezza del rilascio stesso.


11. Impatti operativi ed organizzativi per i Corpi di Polizia Locale

L’entrata in vigore della nuova disciplina comporta significativi impatti sull’organizzazione e sulle modalità operative dei Corpi di Polizia Locale, richiedendo un adeguamento strutturale e formativo che tenga conto delle nuove responsabilità attribuite agli operatori.

Dal punto di vista organizzativo, i Comandi dovranno predisporre protocolli operativi specifici per la gestione delle denunce relative al nuovo reato, definendo procedure standardizzate per la valutazione dei presupposti dell’intervento d’urgenza e per il coordinamento con l’autorità giudiziaria. Sarà necessario identificare personale specializzato nella gestione di queste procedure e garantire la disponibilità h24 di ufficiali di polizia giudiziaria formati sulle nuove disposizioni. Al tempo stesso, fondamentale è la gestione delle comunicazioni con il Pubblico Ministero, richiedendo l’attivazione di canali di comunicazione diretta.

Dal punto di vista formativo, la nuova disciplina richiede un aggiornamento professionale approfondito che riguardi non solo gli aspetti giuridici della riforma, ma anche le tecniche operative per la gestione di situazioni conflittuali e la capacità di valutazione rapida degli elementi probatori. Gli operatori dovranno acquisire competenze specifiche nella raccolta e valutazione della documentazione immobiliare, nella gestione delle situazioni di emergenza sociale e nelle tecniche di de-escalation dei conflitti.

L’aspetto della sicurezza degli operatori rappresenta un elemento di particolare criticità, considerando che gli interventi per occupazione abusiva si svolgono spesso in contesti caratterizzati da elevata tensione sociale e possibili reazioni violente da parte degli occupanti. I protocolli operativi dovranno prevedere misure di sicurezza adeguate, inclusa la possibilità di richiedere il supporto di altre forze dell’ordine nei casi di particolare rischio.


12. Coordinamento interistituzionale e sinergie operative

L’efficacia dell’applicazione della nuova disciplina dipende in larga misura dalla capacità di realizzare un coordinamento efficace tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti nella gestione delle occupazioni abusive. La Polizia Locale, pur assumendo un ruolo di primo piano nell’intervento d’urgenza, deve necessariamente integrarsi in una rete più ampia di soggetti che comprende la magistratura, le forze di polizia a competenza generale, i servizi sociali e uffici dell’Amministrazione Comunale.

La collaborazione con i servizi sociali assume particolare rilevanza nella gestione delle situazioni che vedono coinvolti soggetti vulnerabili o nuclei familiari in condizioni di disagio. L’intervento della Polizia Locale, infatti, non può limitarsi al mero ripristino della legalità formale, ma deve tenere conto delle implicazioni sociali delle proprie azioni, evitando che l’applicazione della legge penale determini situazioni di emergenza umanitaria. I servizi sociali possono fornire supporto nell’identificazione di soluzioni abitative alternative per i soggetti sgomberati e nella valutazione delle condizioni di particolare vulnerabilità.

Il coordinamento con le altre forze dell’ordine è necessario sia per la gestione degli aspetti di sicurezza pubblica connessi agli interventi, sia per lo scambio di informazioni relative a fenomeni di occupazione seriale o organizzata. La condivisione delle informazioni operative può consentire l’identificazione di pattern criminali ricorrenti e lo sviluppo di strategie preventive efficaci.


13. Aspetti costituzionali e diritti fondamentali

L’applicazione dell’art. 634 bis c.p. e dell’art. 321 bis c.p.p. deve costantemente confrontarsi con i principi costituzionali e con la tutela dei diritti fondamentali, richiedendo agli operatori una particolare sensibilità nel contemperamento dei diversi interessi.

Il diritto all’abitazione, tutelato dalla nuova normativa, trova fondamento negli artt. 2, 14 e 47 della Costituzione, che riconoscono la centralità dell’abitazione per lo sviluppo della personalità umana e la realizzazione dei diritti sociali. Tuttavia, questo diritto deve essere bilanciato con altri diritti costituzionalmente garantiti, tra cui il diritto alla difesa, il principio del giusto processo e la tutela della dignità umana.

Il diritto di difesa degli occupanti deve essere sempre rispettato, anche nelle procedure d’urgenza. Ciò significa che gli operatori devono garantire all’occupante la possibilità di fornire la propria versione dei fatti, di produrre eventuale documentazione a sostegno delle proprie ragioni e di essere adeguatamente informato sui propri diritti processuali. L’urgenza dell’intervento non può mai giustificare la violazione delle garanzie difensive fondamentali.

Il principio di proporzionalità assume particolare rilevanza nell’applicazione delle misure coercitive. L’intervento della Polizia Giudiziaria deve essere sempre proporzionato alla gravità della situazione e alle circostanze concrete del caso, evitando eccessi che potrebbero configurare reati contro la pubblica amministrazione.

La tutela della dignità umana richiede particolare attenzione nelle modalità di esecuzione degli sgomberi, specialmente quando siano coinvolti minori, anziani, disabili o persone in condizioni di particolare vulnerabilità. Gli operatori devono adottare modalità operative che, pur garantendo l’efficacia dell’intervento, rispettino la dignità delle persone coinvolte e evitino l’inflizione di sofferenze non necessarie.


14. Prospettive giurisprudenziali e questioni aperte

L’interpretazione dell’art. 634 bis c.p. è destinata a svilupparsi attraverso l’elaborazione giurisprudenziale, che dovrà fornire chiarimenti su diverse questioni controverse rimaste aperte dal dettato normativo.

Una prima questione riguarda la definizione dei confini tra violenza, minaccia e artifizi o raggiri nelle situazioni concrete. La distinzione assume rilevanza pratica per la configurazione del tentativo e per la valutazione della gravità della condotta ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. La giurisprudenza aiuterà, probabilmente, ad elaborare criteri distintivi che tengano conto delle modalità concrete di realizzazione della condotta e dell’impatto sulla vittima.

Un’altra questione aperta riguarda l’interpretazione del concetto di “collaborazione all’accertamento dei fatti” previsto dalla causa di non punibilità. La giurisprudenza definirà i parametri per valutare l’effettività e la sostanzialità della collaborazione, distinguendo tra mere ammissioni di responsabilità e contributi effettivamente utili all’accertamento della verità.

Particolare attenzione sarà rivolta dalla giurisprudenza alla definizione dei criteri per l’identificazione dell'”unica abitazione effettiva” del denunciante. Questa valutazione, che condiziona l’applicabilità della procedura d’urgenza, richiede criteri oggettivi che vadano oltre la mera verifica della residenza anagrafica, tenendo conto delle effettive condizioni di vita del soggetto e della sua situazione abitativa complessiva.

La questione del rapporto tra il nuovo reato e le occupazioni a scopo abitativo realizzate da soggetti in stato di necessità rappresenta uno dei nodi interpretativi più delicati. La giurisprudenza dovrà probabilmente confrontarsi con la possibile applicazione delle scriminanti dello stato di necessità e dell’esercizio del diritto, valutando se e in quali circostanze la condizione di bisogno abitativo possa giustificare condotte altrimenti penalmente rilevanti.


15. Implicazioni criminologiche e politico-criminali

L’introduzione dell’art. 634 bis c.p. si inserisce in un più ampio dibattito criminologico sui fenomeni di marginalità sociale e sulla risposta penale alle condotte determinate da situazioni di disagio economico e sociale. L’approccio del legislatore del 2025 privilegia nettamente la tutela del diritto di proprietà e del legittimo possesso, configurando un modello repressivo che, pur prevedendo meccanismi deflattivi, mantiene un impianto sostanzialmente punitivo.

Dal punto di vista dell’efficacia deterrente, l’inasprimento del trattamento sanzionatorio e l’introduzione di procedure d’urgenza possono certamente contribuire a scoraggiare le occupazioni abusive, ma la loro effettiva incidenza sul fenomeno dipenderà dalla capacità di applicazione concreta delle nuove disposizioni e dalla percezione della certezza della punizione da parte dei potenziali autori di reato.

L’introduzione della causa di non punibilità rappresenta un elemento di particolare interesse criminologico, in quanto configura un modello di giustizia riparativa che privilegia il ripristino della situazione antecedente al reato rispetto alla punizione dell’autore. Questo approccio può contribuire a ridurre i costi sociali del processo penale e a incentivare soluzioni concordate che tengano conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.


16. La dimensione preventiva dell’intervento

L’efficacia della nuova disciplina non si misura esclusivamente sulla capacità di reprimere le singole condotte criminose, ma anche sulla possibilità di sviluppare strategie preventive che riducano l’incidenza del fenomeno delle occupazioni abusive. La Polizia Locale, in virtù della sua capillare presenza sul territorio e della conoscenza delle dinamiche locali, è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale in questa dimensione preventiva.

Le attività di prevenzione possono articolarsi su diversi livelli operativi. Un primo livello riguarda l’identificazione precoce delle situazioni a rischio, attraverso il monitoraggio degli immobili lasciati temporaneamente vuoti, la collaborazione con amministratori condominiali e portieri (ove ancora presenti), l’attenzione alle segnalazioni dei cittadini relative a movimenti sospetti in edifici normalmente disabitati.

Un secondo livello preventivo riguarda l’attività informativa rivolta ai cittadini proprietari di immobili, volta a sensibilizzarli sui rischi connessi all’abbandono prolungato delle abitazioni e sulle misure di sicurezza da adottare per prevenire le occupazioni. Questa attività può realizzarsi attraverso campagne informative, incontri con i comitati di quartiere, collaborazioni con le associazioni di proprietari immobiliari.

La dimensione preventiva comprende anche l’attività di intelligence volta all’identificazione di gruppi organizzati specializzati nelle occupazioni abusive e nella loro commercializzazione. Questo tipo di attività richiede specifiche competenze investigative e strumenti di analisi che consentano di ricostruire i network criminali e di identificare i soggetti apicali delle organizzazioni.


17. Formazione specialistica e aggiornamento professionale

L’applicazione efficace della nuova disciplina richiede un investimento significativo nella formazione specialistica degli operatori di Polizia Locale, che devono acquisire competenze trasversali che vanno dal diritto penale sostanziale e processuale alla gestione delle situazioni di conflitto sociale.

Il percorso formativo deve necessariamente abbracciare gli aspetti giuridici della riforma, con particolare attenzione ai profili di raccordo con la legislazione preesistente e alle questioni interpretative ancora aperte. Gli operatori devono acquisire una conoscenza approfondita degli elementi costitutivi del nuovo reato, delle modalità di applicazione delle procedure d’urgenza e dei rapporti con l’autorità giudiziaria.

Altrettanto importante è la formazione sugli aspetti operativi dell’intervento, che deve comprendere le tecniche di gestione delle situazioni conflittuali, i protocolli di sicurezza per gli operatori, le modalità di raccolta e conservazione delle prove, la redazione di verbali e la documentazione delle attività svolte. Particolare attenzione deve essere rivolta alle tecniche di comunicazione e mediazione, fondamentali per la gestione delle situazioni che vedono coinvolti soggetti in stato di agitazione o disagio.

La dimensione sociale dell’intervento richiede inoltre competenze specifiche nella gestione delle situazioni di vulnerabilità, nella valutazione delle condizioni di disagio economico e sociale, nel coordinamento con i servizi di assistenza. Queste competenze sono essenziali per garantire che l’applicazione della legge penale non determini violazioni dei diritti fondamentali o situazioni di emergenza umanitaria.

L’aggiornamento professionale deve essere concepito come un processo continuo che tenga conto dell’evoluzione giurisprudenziale, delle modifiche normative e delle best practices elaborate dall’esperienza operativa.

La costituzione di gruppi di lavoro interistituzionali e lo scambio di esperienze tra diversi Corpi di Polizia Locale possono contribuire significativamente alla qualità dell’applicazione della nuova disciplina.


18. Responsabilità e profili di garanzia

L’attribuzione alla Polizia Giudiziaria di poteri di intervento immediato comporta inevitabilmente una riflessione sui profili di responsabilità degli operatori e sui meccanismi di garanzia previsti dall’ordinamento per tutelare i diritti dei soggetti coinvolti negli interventi.

La responsabilità penale degli operatori può configurarsi in diverse situazioni. La corretta applicazione delle procedure previste dall’art. 321 bis c.p.p. richiede, quindi, una particolare attenzione alla legalità formale e sostanziale dell’intervento, con specifico riguardo al rispetto delle garanzie procedurali e dei diritti fondamentali.

La responsabilità civile può sorgere nei casi in cui l’intervento degli operatori determini danni ingiusti ai soggetti coinvolti, specialmente quando l’azione si riveli successivamente infondata o sproporzionata rispetto alla situazione concreta. La valutazione della sussistenza dei “fondati motivi” assume quindi carattere cruciale non solo per la legittimità dell’intervento, ma anche per la tutela degli operatori da eventuali azioni risarcitorie.

La trasparenza dell’azione amministrativa richiede, inoltre, che gli interventi siano sempre adeguatamente documentati e motivati, garantendo la tracciabilità delle decisioni assunte e la possibilità di verificare ex post la correttezza delle procedure seguite. La documentazione costituisce anche uno strumento di tutela per gli operatori, in quanto consente di dimostrare la correttezza del proprio operato di fronte ad eventuali contestazioni.


19. Impatti sulla giustizia civile e rapporti tra giurisdizioni

L’introduzione della nuova disciplina penale comporta inevitabili ripercussioni sui procedimenti civili aventi ad oggetto controversie possessorie relative ad immobili abitativi. Il meccanismo di reintegrazione immediata previsto dall’art. 321 bis c.p.p. può infatti interferire con i tempi e le modalità dei procedimenti civili, creando situazioni di potenziale conflitto tra diverse giurisdizioni.

La possibilità che la stessa controversia sia oggetto contemporaneamente di un procedimento penale per occupazione arbitraria e di un giudizio civile per il rilascio dell’immobile pone questioni di coordinamento procedurale non marginali. La reintegrazione disposta in sede penale può rendere priva di oggetto l’azione civile, ma può anche determinare situazioni di instabilità giuridica quando il giudice civile giunga a conclusioni diverse rispetto a quelle assunte dall’autorità penale.

La giurisprudenza dovrà probabilmente elaborare criteri per la gestione di questi conflitti, definendo principi di prevalenza o di coordinamento che garantiscano la coerenza del sistema giudiziario. È ragionevole attendersi che venga riconosciuta una certa prevalenza ai provvedimenti penali, in virtù del carattere d’urgenza che caratterizza la tutela del diritto all’abitazione e della maggiore severità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti penali.

La presenza di procedimenti civili in corso al momento dell’intervento penale costituisce un elemento che gli operatori di Polizia Locale devono necessariamente valutare nella propria azione. L’esistenza di un giudizio civile pendente non esclude automaticamente l’applicabilità dell’art. 634 bis c.p., ma può costituire un elemento di valutazione per l’apprezzamento dei “fondati motivi” richiesti per l’intervento d’urgenza.


20. Conclusioni

L’introduzione dell’art. 634 bis del Codice Penale e dell’art. 321 bis del Codice di Procedura Penale rappresenta una delle riforme più significative degli ultimi anni nel campo del diritto penale del patrimonio, non solo per l’ampiezza delle modifiche apportate all’ordinamento, ma soprattutto per l’innovativo approccio metodologico che caratterizza l’intervento legislativo.

La nuova disciplina testimonia l’evoluzione del diritto penale verso forme di tutela sempre più specifiche e mirate, che tengono conto delle peculiarità dei diversi beni giuridici e delle particolari modalità attraverso le quali essi possono essere aggrediti. L’attenzione specifica rivolta agli immobili destinati a domicilio evidenzia la consapevolezza del legislatore circa la particolare rilevanza esistenziale dell’abitazione nella vita delle persone e la necessità di predisporre strumenti di tutela adeguati a questa specificità.

L’attribuzione alla Polizia Giudiziaria, e quindi anche alla Polizia Locale, di poteri di intervento immediato costituisce un elemento di particolare innovatività che modifica significativamente gli equilibri tradizionali tra autorità amministrativa e autorità giudiziaria. Questa scelta riflette la volontà del legislatore di privilegiare l’efficacia dell’intervento rispetto alle garanzie procedurali tradizionali, pur mantenendo meccanismi di controllo successivo che salvaguardano i principi fondamentali del giusto processo.

L’efficacia della riforma dipenderà in larga misura dalla capacità degli operatori di applicare le nuove disposizioni con competenza e prudenza, sviluppando una prassi operativa che sappia coniugare l’immediatezza dell’intervento con il rispetto dei diritti fondamentali. Questo obiettivo richiede un investimento significativo nella formazione specialistica e nell’aggiornamento professionale, ma anche lo sviluppo di una cultura organizzativa che faccia della legalità sostanziale, oltre che formale, il proprio punto di riferimento costante.

La sfida che attende gli operatori di Polizia Locale è quella di dimostrare che è possibile coniugare efficacia operativa e rispetto delle garanzie costituzionali, contribuendo a fare della nuova disciplina uno strumento di giustizia effettiva piuttosto che di mera repressione formale. Il successo di questa sfida dipenderà dalla capacità di interpretare la riforma non come un’occasione per l’esercizio di poteri autoritari, ma come un’opportunità per sviluppare forme più sofisticate ed efficaci di tutela dei diritti di cittadinanza.

(a cura di Roberto ANTONELLI)

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